papagna
5 settembre 2023

Ricette calabresi-cucina leggendaria

Erbe e piante di Calabria: la ”papagna” o “paparina” (papavero), il misterioso oppio dei nostri nonni


Oggi sveliamo il mistero della papagna, termine dialettale quasi arcano, che talvolta abbiamo sentito pronunciare dai nostri nonni e usato tuttora nel linguaggio comune per indicare uno stato di sonnolenza o anche lo stordimento provocato da un pugno, sotto forma di verbo “m’aiu appapagnatu nu pocu” oppure di sostantivo “che papagna che ho preso!”.

La papagna, chiamata in dialetto calabrese anche paparina, non è altro che la pianta di Papaver Somniferum, cioè il papavero da oppio coltivato nel mondo contadino fino ai primi del Novecento e utilizzato, soprattutto sotto forma di decotto, come sonnifero, antidolorifico e tranquillante. Attenzione però perchè con il termine paparina si indica in Calabria anche il papavero dei campi (Papaver Rhoeas) detto anche Papavero comune o Rosolaccio dagli inconfondibili fiori rossi, considerata erba infestante nei campi di cereali ma che è anche commestibile.

A papagna era un rimedio piuttosto economico, anche perché facile da coltivare in ogni orto, e si usava principalmente per far dormire neonati piangenti e bambini irrequieti e permettere così ai genitori di riposare, lavorare e attendere alle faccende domestiche.

Ai più piccoli si dava anche ‘u titillu, una sorta di ciuccio fatto da una pezzuolina di lino arrotolata e intinta nella papagna preparata per l’occasione.

Si racconta infatti di bambini che così dormivano anche per più giorni consecutivi anche se l’origine del pianto era sconosciuta, una pratica alquanto rischiosa che ebbe termine per fortuna appena cominciarono a diffondersi nuove regole igienico-sanitarie e informazioni sulla pericolosità e sugli effetti a volte anche letali della pianta.

La papagna era usata anche dagli adulti come antidolorifico e tranquillante, per il banale mal di denti, dolori da trauma o reumatismi, unico rimedio in un mondo in cui non esistevano le farmacie e i medicinali moderni. Si racconta che a volte le donne di nascosto la somministrassero anche agli uomini troppo focosi, per calmarne i bollenti spiriti…

Ma i nostri nonni non facevano altro che perpetuare una tradizione antichissima, praticata fin dal 5000 avanti Cristo, quando il Papaver Somniferum era conosciuto come il fiore che dona la gioia e l’ebbrezza, come risulta da tavolette di argilla in scrittura cuneiforme rinvenute tra il Tigri e l’Eufrate.

In epoca magnogreca era il fiore sacro a Demetra, che troviamo raffigurato infatti in molte iscrizioni e sculture dedicate alla dea, e probabilmente a quei tempi era già conosciuto anche l’uso dell’oppio, il lattice che fuoriesce dalle capsule della pianta contenente numerosi principi attivi e sostanze alcaloidi tuttora utilizzati in medicina come morfina, codeina e narcotina.

L’oppio già ai tempi di Ippocrate lo si prescriveva abbondantemente e per malattie diverse, nella medicina araba fu introdotto da Ibn Sina, meglio conosciuto come Avicenna, anche se presto le scuole mediche dell’epoca cominciarono a mettere in guardia sull’uso eccessivo della sostanza che poteva provocare anche la morte.

Il preparato più famoso a base di questa sostanza è sicuramente il laudano, sciroppo a base di tintura di oppio con l’aggiunta di zafferano, cannella e chiodi di garofano, che fu messo a punto da Paracelso e utilizzato per secoli come analgesico, sedativo della tosse e contro la diarrea.

Con l’andare del tempo e i progressi della moderna medicina, si è scoperto che tutti i preparati a base di oppio danno dipendenza, assuefazione, con un alto rischio di intossicazione e di gravi danni agli organi interni dell’organismo.
Annamaria Persico (articolo già pubblicato su Reportage il 28 settembre 2017)


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