Lo squisitissimo capicollo calabrese
16 giugno 2017
Lo squisitissimo capicollo calabrese

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Buoni e per tutte le tasche: il valore sociale dei salumi. Una ricerca del Censis


Alimenti di tutti e per tutti. Sono 51,6 milioni gli italiani che mangiano i salumi. E nell’ultimo anno ha mangiato prodotti di carne suina (dai salami ai prosciutti, dalle salsicce all’arista) ben il 96% degli italiani maggiorenni, di cui il 59,7% regolarmente (una o più volte alla settimana) e il 36,3% di tanto in tanto (qualche volta al mese), mentre solo il 4% dichiara di non mangiarli mai.

Sono alimenti che hanno conquistato molto tempo fa, per non lasciarlo più, un posto fondamentale nei carelli della spesa, nelle dispense e sulle tavole degli italiani. Le elevate quote di consumatori di salumi e di carne suina indicano la capacità dei prodotti del settore di adattarsi alle esigenze specifiche di soggettività molto diverse tra loro. E attestano che la grande articolazione di tipologie dei prodotti del settore soddisfa un insieme differenziato di gusti e di disponibilità economiche.

È quanto emerge da una ricerca del Censis presentata nei giorni scorsi in occasione dell’Assemblea generale di Assica (Associazione industriali delle carni e dei salumi).

La spesa per salumi e carne suina cresce più dei consumi alimentari
Nel periodo 2008-2015 la spesa delle famiglie per salumi e carni suine ha registrato una riduzione del 2,6%, molto meno dei consumi alimentari complessivi (-8,3%). Nel biennio 2013-2015 la spesa per salumi e carni suine ha segnato un incremento del 6,9% a fronte del +0,5% di quella alimentare complessiva. Nell’attuale fase della neo-sobrietà post-crisi i prodotti del settore sono tra quelli per cui gli italiani sono disposti a spendere qualche euro in più e non accettano di dovervi rinunciare.

Niente eccessi, consumi maturi e responsabili
Il consumo pro-capite annuo reale (al netto cioè delle parti di scarto) degli italiani di carne suina e salumi è nel 2016 pari a 19,9 kg (elaborazione Censis su dati Gira), 9 etti in più rispetto al 2008.

In termini di consumi apparenti (al lordo cioè delle parti di scarto), con una stima di 39,5 kg pro-capite annui di carne suina e salumi, l’Italia si colloca comunque al 16° posto nella graduatoria europea, con 25,6 kg pro-capite all’anno in meno dei ciprioti, 16,5 kg in meno dei danesi, 15,3 kg in meno degli olandesi, 15,2 kg in meno rispetto alla Spagna e 12,9 kg in meno della Germania. Quello italiano è un modello di consumo responsabile, in quantità moderate, che beneficia anche della buona qualità dei prodotti.

Li mangio perché mi piacciono: il valore del gusto
Perché tanti italiani mangiano salumi e prodotti di carne suina? L’86,7% dichiara di mangiarli perché piacciono e tale motivazione è prevalente in modo trasversale alle diverse aree geografiche (87,7% al Nord-Ovest, 88,3% al Nord-Est, 84,9% al Centro, 85,9% al Sud), alle classi di età (il 91,3% dei millennials, l’88,6% dei baby boomers, il 77,7% degli anziani), alle tipologie familiari (l’88,5% nelle famiglie con figli minori, il 91% tra i single).

Si tratta di una consacrazione della bontà di prodotti che consentono un’alimentazione sicura e sana, che non pretende il sacrificio di nutrirsi con cibi che non gratificano il palato.

Amati dai giovani, approvati dai genitori
Si mangiano salumi e prodotti di carne suina nel 96,7% delle famiglie con figli (nel 63,4% regolarmente) e nel 97% delle famiglie con figli minori (nel 70,9% regolarmente). La presenza di figli, più ancora se minori, è uno straordinario moltiplicatore del consumo di prodotti di carne suina.

Ed è un dato molto indicativo, perché la dieta dei ragazzi è notoriamente l’esito di un severo scrutinio sull’impatto sulla salute da parte dei genitori, in particolare delle mamme. Per i genitori italiani i salumi e i prodotti della carne suina sono salutari e sicuri, tanto da metterli con regolarità nei piatti o nei panini dei figli. Il concreto salutismo delle mamme italiane, che genera un consumo regolare di salumi, sgretola il salutismo isterico basato su miti infondati.

Il successo tra i millennials
Se sono alte le quote dei consumatori di salumi e carni suine in tutte le classi di età, tra i millennials (18-34 anni) si registra il picco dei consumatori abituali: il 67,6%. Questo successo tra le giovani generazioni è essenziale, perché saranno i protagonisti dei mercati nei prossimi anni e perché sono già oggi i più coinvolti dalle culture della sostenibilità, della sicurezza alimentare e del salutismo.

Alimenti per un consumo interclassista da democrazia alimentare
Consumano salumi e prodotti di carne suina il 96,4% degli impiegati e insegnanti, il 95,5% degli operai, il 94,3% degli imprenditori, il 97,4% dei disoccupati. E ne sono consumatori regolari (una o più volte alla settimana) il 71,6% degli imprenditori, il 61,8% degli operai, il 61,4% degli impiegati e insegnanti.

Sono consumatori di questi alimenti il 94,2% delle persone con basso reddito (il 52,9% regolarmente) e il 96,1% di quelle ad alto reddito (il 67,4% regolarmente). Le alte quote trasversali alle condizioni professionali e reddituali degli italiani disegnano un consumo democratico, interclassista, in netta antitesi con il ritorno di una differenziazione per ceti a tavola.

È l’esito virtuoso dell’articolazione dei prodotti del settore per tipologie e fasce di prezzo. Né cibo solo per nuovi poveri, né cibo solo per hipster, ma cibo per tutte le tasche, interprete della democrazia alimentare del ceto medio e del benessere di massa.

L’italianità dei prodotti filo comune del pluralismo della gastronomia locale
Mangiano salumi e carni suine il 93,8% dei residenti al Nord-Ovest, il 98,1% al Nord-Est, il 95,9% al Centro, il 96,5% al Sud. Di questi, lo fanno con regolarità il 61,2% al Nord-Ovest, il 61% al Nord-Est, il 60,1% al Centro, il 57,5% al Sud.

La trasversalità territoriale si mantiene anche al variare dell’ampiezza dei comuni di residenza: dal 96,9% nei piccoli comuni (fino a 10.000 abitanti) a quote non inferiori al 96% nei centri urbani di medie dimensioni (tra 10.000 e 250.000 residenti), fino al 93,4% nelle grandi città (oltre 250.000 abitanti).

La presenza di questi alimenti nelle diverse diete e tradizioni culinarie evidenzia la capacità specifica dei prodotti del settore di modularsi sulla differenziazione gastronomica locale.


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