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22 giugno 2020

BLOG-le firme di Reportage

CARTOLINE di Daniela Grandinetti: «Grazie, una parola semplice»


In questa lunga domenica di giugno, la prima dell’estate di questo anno sciagurato, ci siamo svegliati con una notizia che non avremmo voluto ricevere: Antonio non c’è più, Antonio l’angelo, il leone, il guerriero, ci ha lasciati.
Lo sconcerto e il dolore hanno fatto sì che riempissimo le pagine dei social con le foto, i pensieri, i ricordi di questo ragazzo istrionico e luminoso, dal sorriso sempre ironico: Antonio non era “normale”, ma non nel senso in cui si potrebbe pensare, Antonio era “eccezionale” quindi, come tutte le persone destinate a lasciare un segno, ha sollevato un’onda emotiva che ha travolto tutti.

Era persona impegnata nel sociale, nell’attività politica, nello spettacolo: non c’era sponda che non avesse toccato con la sua presenza e il suo contributo, sempre attento, lucido, intelligente.
Insomma una persona rara, e credo sia normale e sacrosanto l’aver “esorcizzato” il dolore scrivendo sui social, come cosa che resta, che non si cancella.
Eppure, in questa lunga domenica di giugno, la prima dell’estate di questo anno sciagurato, il mio pensiero è andato a lui: al suo angelo custode, al padre, a Pino Saffioti, un uomo di una dolcezza infinita.

Sono andata a rileggere le parole contenute nel primo libro di Antonio “Chi ci capisce è bravo” scritto a quattro mani con Marco Cavaliere, quello che racconta la sua storia, una storia che tutti dovrebbero conoscere per quel che rappresenta.
È facile commuoversi, è facile usare le parole sull’onda della spinta emotiva. Ma domani? Come saremo domani? Cosa faremo domani? Cosa avrà rappresentato questo dono della vita che è stato incrociare, o incontrare, o essere amici di Antonio Saffioti? Cosa ne sarà di questo leone guerriero che ci ha lasciati senza fiato volandosene via?

C’è Pino, nel mio cuore, stasera. Pino e le sue lunghe battaglie vissute per e con Antonio, suo figlio.
Riporto così, sintetizzando, alcuni passaggi di quel libro.
“L’episodio della scuola fu uno dei primi ed un significativo tassello di questa mia battaglia, dimostrazione di quanto ancora lontana fosse la società rispetto alla disabilità e di cosa volesse dire lottare per dare ad Antonio le stesse opportunità di tutti gli altri. Andai dal preside della scuola con largo anticipo. Mi accolse disponibile ad ascoltare quello che avevo da dire.”

Pino chiese che il figlio fosse assegnato a una classe collocata al piano terra “ha difficoltà a salire e scendere le scale, da solo avrebbe difficoltà e non voglio che senta il bisogno di farsi aiutare.” Disse.
Il preside lo rassicurò, Antonio avrebbe avuto tutto ciò che gli sarebbe servito per seguire al meglio le lezioni. Il primo giorno di scuola Antonio tornò a casa e disse al padre che era andato tutto bene “tranne la fatica di dover salire e scendere le scale.”

Pino Saffioti il giorno dopo era a scuola, ribadì che la sua richiesta era stata molto chiara. Il preside rispose che doveva stare tranquillo, nella scuola c’era chi era in grado di aiutare suo figlio. Pino si arrabbiò, quell’uomo “non aveva capito il principio” e quel che disse fu: “So benissimo che Antonio può fare le scale se aiutato da qualcuno, ma io NON VOGLIO che sia aiutato DA NESSUNO. Antonio, in classe, deve poterci arrivare DA SOLO ed in TOTALE AUTONOMIA, perché farlo aiutare equivale a farlo SENTIRE DIVERSO e Antonio non lo è affatto”.
Il giorno dopo Antonio arrivò al proprio posto nella sua aula al piano terra senza nessun problema.

Più avanti, a colloquio con un professore di educazione fisica le cui parole furono: “Vuole chiedere l’astensione delle ore di educazione fisica?” Pino rispose: “Assolutamente no, sono sicuro troverà un modo per renderlo ugualmente partecipe”.
Il professore fu riluttante, non capiva come Antonio avrebbe potuto inserirsi con ragazzi che correvano e giocavano, ma Pino pensa che l’obiettivo dello sport dovrebbe essere quello di unire, far divertire, insegnare i giusti valori, tra i quali l’amicizia, lo stare insieme nel rispetto reciproco. E fu così che Antonio diventò l’arbitro di riferimento di ogni partita, segnava i punti nei match di pallavolo e il professore dovette ricredersi. Diventarono perfino amici.

Episodi come questi, piccole e grandi battaglie per non far sentire MAI Antonio diverso, perché non lo era affatto, si ripeterono molte altre volte. Noi, ad esempio, non ci pensiamo che se la scuola fa una pedana dislocata dall’ingresso principale i ragazzi “disabili” che devono avere quindi un altro accesso e si sentono per forza diversi dagli altri: noi, insegnanti, presidi, genitori, alunni, non ci pensiamo, non ci facciamo neanche caso.
Ci pensi se sei un padre che vuole a tutti i costi che suo figlio sia uguale agli altri, magari di più, perché Antonio di cervello ne aveva e tanto, e i suoi successi scolastici lo dimostrano, anche in virtù della severità di Pino, che pretendeva i risultati, come qualsiasi genitore attento al proprio figlio.

“Devi chiedere scusa a te stesso – disse una volta ad Antonio di fronte a risultati mediocri che pure capitarono (Pino aveva da sempre rifiutato “il sostegno” una via facilitata per il diploma che diploma non sarebbe stato, ma un attestato di frequenza) – e fai in modo che non si ripeta. GUAI A TE SE NON STUDI.”
Antonio ha finito la scuola e si è laureato in Giurisprudenza.

Al mare, racconta la sorella di Antonio: le pedane non permettevano di arrivare fino all’ombrellone, a un certo punto di fermavano. Così Pino si presentò presso gli uffici comunali, fece notare che quelle pedane si fermavano a decine di metri dal mare e consigliò delle pedane mobili, per ovviare al problema che l’inverno andassero distrutte. Ma l’impiegato gli spiegò che la spesa sarebbe stata non indifferente. E cosa fa Pino? Risponde “non vi preoccupate, la pedana la monto io, la costruisco e la monto.” E così fa. Antonio arrivava sotto l’ombrellone.

Sono decine gli episodi come questi raccontati nel libro, fatti di lotte quotidiane contro l’ignoranza, contro l’immobilismo.
Antonio aveva la sua macchina speciale, che il padre volle grande perché potesse viaggiare con la famiglia, i parenti, gli amici e con quella andava ovunque.

Antonio e Pino, due leoni guerrieri.

Così è a Pino Saffioti che mando questa cartolina con il cuore alla fine di questa tormentata domenica, perché so per certo che il nostro vuoto, non è neanche un milligrammo paragonato al suo, che sarà immenso e l’immensità è una cosa che a pensarla spaventa.

Ma spero anche che insieme a noi Pino tornerà alla consapevolezza di quanto sia stato grande, lui, PADRE, a permettere a tutti noi di avere la fortuna di amare Antonio, e qui voglio ricordare la frase di Antonio Gramsci posta a conclusione del libro: “Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliare da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. E allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un fenomeno naturale, un’eruzione, un terrenoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente”

Se le parole che abbiamo detto oggi non saranno ipocrisia domani lo sapremo in virtù della nostra attività o della nostra indifferenza.
Intanto questo è stato un incontro con uomini straordinari, Pino e Antonio, che esistono nella vita reale: alzate la testa e cercateli.

Un grande abbraccio Pino Saffioti, e con te a tutta la tua famiglia, tua moglie, tua figlia.

E grazie per averci donato Antonio.


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