Gianni Lucchino
10 gennaio 2017
Gianni Lucchino

Reportage, libri e dintorni

Ciao Gianni… Ricordando Gianni Lucchino nell’anniversario della sua scomparsa


Riproponiamo, nell’anniversario della scomparsa di Gianni Lucchino, un articolo apparso sul numero 1 (1-15 Gennaio 2009) del quindicinale reportage

Che tristezza, caro Gianni, vederti lì, dentro una bara, vestito di blu e i begli occhi verdi chiusi per sempre! Mai avrei pensato di dover scrivere il tuo necrologio ed è ormai da mesi, da quando ho saputo della tua malattia, che sono assalita da un turbinio di pensieri che fatico a mettere in ordine.

Eri un uomo buono e sensibile e un politico attento e rigoroso, coerente fino alla fine. Sembrano banalità ma chi ti ha conosciuto sa che neanche queste parole bastano a spiegare che persona eri, normale e straordinaria insieme.

Per spiegare qualcosa in più occorre andare un po’ indietro nel tempo e perdonatemi se dirò anche qualcosa di personale. Appartengo alla generazione di Gianni Lucchino, di quelli che nei caldi anni Settanta erano studentelli, fratelli e sorelle minori di chi aveva fatto il Sessantotto. Siamo cresciuti meno arrabbiati di loro ma respirando quella certa aria e nutrendoci di idee meravigliose.

Per noi era normale già alle Medie andare ai cortei, contestare il preside oppure organizzare manifestazioni per il Nicaragua, paese che molti di noi non sapevamo neanche dove fosse. Ma c’era qualcosa di straordinario e inevitabile che ci spingeva a fare certe cose che ora fanno un po’ sorridere: l’ideale.

L’ideale di pace, di libertà, di giustizia perché dovevamo cambiare il mondo, convinti e felici che quello era il nostro compito e che ci saremmo riusciti. Per noi era normale. Tutto successe in un breve arco di tempo, neanche dieci anni. Lo scenario era quello degli anni di piombo con sullo sfondo a Lamezia l’omicidio di Adelchi Argada e a livello nazionale quello di Moro che, insieme all’arrivo della droga pesante anche da noi, segnò la fine di quel periodo bello e terribile.

Quei ragazzini finirono la scuola e si trovarono ad affrontare la vita, candidi come sempre e armati solo dei loro ideali. Gianni Lucchino era uno di quei ragazzi, ma era già il più bravo e il più convinto. Per noi che eravamo addirittura più giovani di lui era una specie di eroe senza macchia e senza paura, che inseguiva sincero e leale l’ideale comunista, riempiendolo sempre di serietà e di concretezza.

Terminati gli studi, si dedicò completamente al lavoro e alla politica senza mai però tralasciare gli affetti più cari: la sua compagna di sempre, Enzina, i suoi figli Valeria e Fabio e la sua bella e numerosa famiglia d’origine. Fu consigliere comunale più volte, per poco non diventò deputato, fu sempre parte attiva della vita politica di Lamezia, sia dentro che fuori dalle istituzioni.

Pacato e gentile nei modi, ma insieme testardo e determinato, non ha mai abiurato le sue radici proletarie. Ne era invece orgoglioso. Era sempre dalla parte dei più deboli, sempre coerente alle sue idee, sempre rigoroso e attento a non farsi incantare dalle «sirene» della politica di bassa lega, del potere e delle poltrone che pure avrebbe potuto avere in quantità se solo avesse ceduto un attimo. Quante volte ho pensato: «Ma come fa uno come Gianni Lucchino a stare nel verminaio della politica?».

Non c’erano oscuri motivi. La risposta è molto semplice: lo faceva per cambiare il mondo, per realizzare quell’ideale di solidarietà e di giustizia sociale in cui credeva fermamente. Lui era così e per lui era normale fare questo.

Mi piace ricordare ora, giusto per parlare della coerenza di Gianni alle proprie idee, le decine e decine di persone cui ha dato una mano quando si trovavano in difficoltà di vario genere, spesso a trovare un lavoro in un posto come Lamezia dove il lavoro si chiede col cappello in mano al potente di turno. E lo faceva sorridendo, senza dire tante parole e non in cambio di un voto, ma semplicemente perché si trovava in condizione di poterlo fare e lo faceva, in piena legalità e senza fare torti a nessuno. Perché per lui era normale, era giusto fare così, in nome di quel famoso ideale.

Gianni Lucchino non era quello che ti salutava solo in campagna elettorale. Potevi dargli o non dargli il voto, essere o non essere d’accordo con le sue scelte politiche ma quando lo avvicinavi gli si illuminava il viso e ti sorrideva, gli potevi parlare di qualsiasi cosa che lui comunque ti rassicurava e ti infondeva fiducia.

Eravamo tutti tranquilli che il nostro eroe sarebbe andato avanti così per sempre, chiuso in qualche stanza o in giro ma sempre a pensare a noi, alla città e a tutti i suoi problemi, pronto a rassicurarci e anche a darci una mano se ne avessimo avuto bisogno. Per lui e anche per noi era normale.

Purtroppo non è andata così. La morte ti ha strappato troppo presto alla tua famiglia e a noi altri, che solo ora ci rendiamo conto di quanto ti volevamo bene e di quanto tu ci volevi bene, di quanto sei stato grande e straordinario nel tuo essere semplicemente un uomo.

Non un uomo che insegue stupidamente un sogno ma uno che provava tutti i giorni a realizzarlo, stando in mezzo agli altri, amandoli e rispettandoli, faticando e lottando perché a quel sogno ci crede veramente. Per te era normale vivere per cambiare il mondo e, se qualcosa non andava per il verso giusto pazienza, si ricominciava tutto daccapo e qualcosa di buono sicuramente sarebbe venuto fuori.

Caro Gianni, forse non sei riuscito a cambiare il mondo ma noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerti siamo cambiati, sai, e in meglio. In fondo siamo sempre noi, i ragazzini di trent’anni fa che ora hanno le tempie grigie ma sempre quelle idee in testa, che non facciamo male a una mosca, che abbiamo tirato su dei figli bravissimi e buonissimi, che non ci facciamo raccomandare e non facciamo raccomandazioni, che di questi tempi continuano a farci schifo i soldi e il potere. La lezione è stata dura, la tua morte ci ha fatto capire che si può e si deve vivere con gli ideali nel cuore e nella mente.

Altrimenti, come ho sentito dire al tuo funerale da un vecchio operaio di quelli che ti erano tanto cari, «chi campamu a fare?».
Ciao Gianni. Non ti dimenticherò mai.
A. P.


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