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11 giugno 2020

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Civiltà del bere: il vino è un prodotto della cultura


Il mito del vino naturale sembra affascinare molti consumatori e anche qualche produttore, ma nasce da una errata concezione della realtà. Il vino infatti non è opera della natura, ma un prodotto della cultura.

Da anni, ormai, si fa un gran parlare dei vini biologici, biodinamici, naturali, ed è prevedibile che se ne parlerà sempre di più perché godono di crescente favore. Dai 441 milioni di bottiglie del 2003, il consumo dei vini biologici su scala mondiale è passato a 729 milioni nel 2018; secondo le previsioni del centro di ricerche inglese Iwsr (International Wines and Spirits Record), arriverà nel 2023 a 976 milioni di bottiglie. Il che significa, sottolinea l’Iwsr, che in dieci anni il loro consumo sarà cresciuto del +121% mentre il mercato vinicolo globale avrà subito una flessione del -2,8%.
Il fenomeno del biologico resta sempre di nicchia

Tuttavia si tratta ancora di un fenomeno marginale. Il valore dei vini biologici si aggira intorno ai 3,3 miliardi di euro, e rappresenta il 2% del mercato globale vinicolo, stimato in 165,8 miliardi. Calcolata in rapporto al numero di bottiglie vendute, la loro incidenza sul totale è leggermente maggiore, ma anche se le più ottimistiche previsioni dell’Iwsr si avvereranno, non supererà nel 2022 il 3,6% del totale.
Produrre rispettando la natura e la salute

Costituiscono insomma una piccola nicchia di mercato. Sarebbe però sbagliato sottovalutarla perché ha saputo intercettare un’esigenza oggi molto sentita; quella che i vini, come tutti i prodotti alimentari, vengano fatti rispettando la natura su due fronti: non danneggiando l’ambiente in cui nascono e non mettendo a rischio la salute di chi li beve. Ma poiché questo obiettivo si realizza riducendo al minimo l’uso di fitofarmaci e antiparassitari nella vigna e di solfiti in cantina, si sta diffondendo l’idea che se si vuol fare davvero il vino nel pieno rispetto della natura bisogna limitare al massimo gli interventi umani e lasciarlo fare alla natura.

Il vino nasce dall’uva, ma grazie alla mano dell’uomo
Cavalcando il favore che si è conquistato il vino biologico, si sta costruendo così il mito del vino naturale, che sembra affascinare molti consumatori e anche qualche produttore, ma nasce da una errata concezione della realtà. Il vino infatti non è opera della natura: per realizzarlo bisogna far fermentare il mosto ottenuto spremendo i grappoli dell’uva, e l’uva non è prodotta dalla vite perché se ne faccia vino, è un frutto, e come tutti i frutti la sua funzione principale, questa sì, naturale, è la perpetuazione della specie con i semi, detti vinaccioli, contenuti nei suoi acini.
Dalla vitis vinifera sylvestris alla vitis vinifer sativa

Anche la vite primigenia, la vitis vinifera sylvestris, aveva questa priorità naturale; proprio per questo dai suoi grappoli si otteneva sì del vino, ma di mediocre qualità. Per di più era una vite dioica, cioè con piante di sesso femminile che l’uva riuscivano a farla solo se una pianta di sesso maschile le aveva impollinate. Fu necessario un lungo processo di domesticazione, avviato individuando e riproducendo le rarissime piante monoiche di sylvestris, dotate cioè sia di organi sessuali maschili, gli stami, sia di organi femminili, i pistilli, che l’uomo è riuscito a far nascere una vite su misura per le sue necessità: la vitis vinifera sativa, la pianta ermafrodita da cui si ricava il vino come lo conosciamo oggi.

Ora abbiamo diecimila varietà tra cui si può scegliere
A disposizione dei vinificatori esistono adesso circa 10 mila varietà di viti, capaci di soddisfare ogni esigenza di contenuto zuccherino, tenore tannico, espressione aromatica; per ottenerle però ci sono voluti secoli, anzi millenni di sperimentazioni, selezioni e ibridazioni. Senza contare gli incidenti di percorso come quello, terrificante, provocato dalla fillossera, che ha costretto a complicare la coltivazione della vite con l’innesto delle varietà europee su piede ibrido americano.

Senza l’intervento umano, berremmo aceto

Già solo per procurarsi la materia prima adatta, quindi, l’uomo ha dovuto forzare la natura, o quantomeno pilotarla verso obiettivi che le erano estranei. Ma quando è arrivato a ottenere il mosto e a farlo fermentare il suo intervento è stato determinante per impedire alla natura di completare il ciclo del processo fermentativo degli zuccheri dell’uva, cioè per fare in modo che il vino non diventasse aceto.
Il ruolo del sapere e della scienza
Il vino, insomma, non è un prodotto della natura, è un prodotto semmai della cultura. E per ottenere che non comprometta l’ambiente in cui nasce né la salute di chi lo beve è alla cultura, alla scienza, che si deve far ricorso: quella del “vino naturale” è la soluzione semplificata dei problemi complessi, tipica dei nostri giorni. Una soluzione però, come dimostrano le vicende della pandemia da coronavirus, che ha grande presa sulla psicologia popolare.

(Fonte Civiltà del bere 2/2020)


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