Fiore
20 settembre 2016

News

Il Dottor Fiore, Rom laureato in umanità propulsiva


Arriva ad Arcavacata tesissimo, Fiore Manzo, nato nella baraccopoli di Gergeri poco più di due decenni fa. Quando si siede davanti alla commissione della seduta di laurea in Scienze dell’Educazione, in una sala gremita dell’università della Calabria, una spruzzata di sudore freddo gl’imperla la fronte.

Una signora nel pubblico commenta: «Com’è emozionato ‘sto ragazzo». Sghignazzano Luigi ed Enzo, amici storici di Fiore e come lui attivisti dell’associazione «Lave Romanò». Loro forse sanno perché Fiore è così teso. Gli hanno promesso che all’uscita gli avrebbero fatto trovare una lambretta carica di ferraglia e uno striscione con la scritta Si’ l’orgoglio da’ zingarama. E al posto delle stelle filanti, avrebbero bruciato due copertoni di camion sul ponte di Arcavacata.

L’autoironia è la migliore virtù dei Rom, una potente arma che nei secoli li ha resi invulnerabili dinanzi alla xenofobia e al pregiudizio delle genti che hanno incontrato. Lo sa bene Fiore che durante la seduta scioglie la tensione e relaziona con linguaggio e piglio da scienziato. Amici e parenti lo guardano inorgogliti. La solare sorella di Fiore, Letizia, scatta foto a raffica.

Papà Antonio e mamma Rosita, commossi, si godono il frutto di tanti sacrifici. Al settimo cielo i suoceri e la fidanzatissima Rita. Applaudono felici Paola e Franca, le donne del Circolo culturale «Popilia» che ha accompagnato Fiore sin da bambino. Tra i laureandi, Fiore è l’unico a parlare con il «noi». Ha una vicenda collettiva da raccontare.

La sua tesi, «Gli stanziali. Modelli di insediamento dei Rom a Cosenza», ricostruisce una storia tormentata e raccoglie l’entusiastico consenso del relatore, il professor Ciro Tarantino. Con tono da eretico il neodottore Manzo espone i risultati dei suoi studi, lancia strali contro la classe politica che lucra sui campi nomadi e sul sistema segregazionista dei villaggi e delle baraccopoli: «Il nomadismo non esiste. È una dimensione in cui ci vogliono rinchiudere per negarci il diritto a vivere con dignità».

Fiore non è il primo Rom cosentino a laurearsi. Ce ne sono stati almeno altri quattro o cinque prima di lui. E se un ragazzo di antiche origini gitane diventa Dottore, non dovrebbe neanche far notizia. Ma la sua è una fiaba viva. Riverbera nelle poesie che scrive e nelle giornate che conduce.

Tanti altri ragazzi, italianissimi, nei quartieri periferici incrociano diversi destini. Sbavano davanti ai locali della movida, affogano nella cocaina, inseguono stili di vita borghesi, si strofinano alla camicia di politici e malandrini, in cerca di una felicità che mai troveranno.

A volte l’amore mette in ginocchio l’odio e l’ignoranza. Fiore è stato fortunato. Di amore ne ha ricevuto tanto. Così ha imparato a darne agli altri. E a guardare al di là delle pareti in cartone e dei tetti in lamiera.

Congratulazioni Dotto’. Nel cuore e nella mente, non smettere mai di essere Rom. Che tu stesso mi hai insegnato, significa: «Uomo, essere umano».
Claudio Dionesalvi
(tratto dal blog www.inviatodanessuno.it)


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