La vecchia Cattedrale di Nicastro faceva fatica a contenerli tutti, gli amici, i familiari, la gente, tutti quelli che, anche non avendola conosciuta di persona, ne avevano ammirato la storia, una bella storia, troppo breve ma intensa e concreta.
La vicenda terrena di Rosi De Sensi, un’operatrice del sociale, si è interrotta nei giorni scorsi, in un freddo pomeriggio di gennaio, ma la sua rimane una testimonianza forte per chiunque abbia la voglia, la forza e la passione per impegnarsi, per sporcarsi le mani, per cercare di cambiare concretamente le sorti di una città, Lamezia Terme appunto, in cui in tanti, in troppi rimangono alla finestra e lasciano che le cose avvengano.
Rosi e le altre formichine operose dell’Associazione «La Strada» per decenni hanno lavorato per il riscatto della periferia lametina per eccellenza, Scordovillo, la bidonville, il campo Rom, il ghetto o come diavolo lo vogliamo chiamare, sicuramente da sempre lo specchio impietoso dell’inconcludenza e delle pie intenzioni di intere classi dirigenti.
L’associazionismo, il cosiddetto Terzo settore o privato sociale che dir si voglia da sempre si differenzia dalle istituzioni pubbliche per la sua concretezza, per l’immediatezza della sua azione, perché non aspetta il protocollo o la copertura di bilancio, si butta dentro, si sporca le mani, anche se le risorse sono scarse e le difficoltà apparentemente insormontabili.
Pensate che Rosi, insieme ai compagni «di strada» ogni mattina presto entrava a Scordovillo, svegliava i bambini, li aiutava a vestirsi e li accompagnava a scuola, strappandoli per ore alla miseria di un posto che, se lo hai visitato per una sola volta, ti rimane impresso nella mente e nello stomaco per tutta la vita.
Si occupavano dei vaccini, dell’iscrizione a scuola, dell’igiene, del doposcuola, dei soggiorni a mare, si scontravano quotidianamente con le istituzioni locali imbalsamate e, quand’anche vicine, paralizzate o dalla paura di decidere o dalle risorse sempre più esigue. Ragazzi che non lesinavano tempo ed energie, che non si pagavano per mesi ma che ogni mattina erano lì, a Scordovillo, perché amavano e amano quei bambini «brutti sporchi e cattivi» che tanti genitori, diciamocela tutta, mai vorrebbero come compagni di scuola dei propri figli.
Rosi è stata ricordata da tutti per il meraviglioso sorriso che la illuminava quando ti sorrideva, come solo lei sapeva fare, per la sua dolcezza e per la delicatezza con cui si faceva carico delle sofferenze di tutti, lei che, rinunciando a una vita agiata e confortevole, aveva scelto il servizio nella più difficile delle periferie, le periferie di cui papa Francesco parlò la sera della sua elezione e che giustamente, all’inizio della sua sofferta omelia, ha ricordato Don Carlo davanti a una folla commossa e silenziosa.
Per la prima volta da quando esiste la vergogna di Scordovillo quel triste pomeriggio c’erano più Rom in Cattedrale e sul Corso Numistrano che non al campo, perché nessuno di loro voleva mancare, tutti hanno reso omaggio, alla loro maniera, alla «Taliana» che tanto li ha amati, senza se e senza ma.
Tonino De Sensi