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27 gennaio 2023

BLOG-le firme di Reportage

LITWEB. Giorno della memoria. «Patrick Modiano, se perdo te non perdo te» di Ippolita Luzzo


Dora Bruder, scomparsa due volte. 31 dicembre 1941 e morta ad Auschwitz nel 1944.

Modiano racconta l’orrore raccontando se stesso, il suo rapporto vuoto con genitore, il suo essere solo con la sua scrittura, i suoi occhi che vedono oltre le carte, la burocrazia, il numero.

“Ci vuole tempo per riportare alla luce ciò che è stato cancellato. Sussistono tracce in alcuni registri e si ignora dove siano nascosti, quali custodi veglino su di essi e se quei custodi accetteranno di mostrarli. Può anche darsi che ne abbiano semplicemente dimenticato l’esistenza.”

Si dice che i luoghi serbano una lieve impronta delle persone che li hanno abitati. Impronta, segno incavato o in rilievo. Per Dora Bruder e genitori, Modiano dice: incavato.

“Ignorerò per sempre come passava le giornate, dove si nascondeva, in compagnia di chi si trovava durante l’inverno della sua prima fuga…

È il suo segreto. Povero e prezioso segreto che i carnefici, le ordinanze, le autorità d’occupazione, il Deposito, le caserme, i campi, la Storia, il tempo – tutto ciò che insozza e involge – non sono riusciti a rubarle.”

Nella storia dell’intolleranza e delle faide sociali, inutili, senza senso, ma tremendamente sanguinose e feroci bisogna ricordare una semplice frase.

Del libro di Jean Genet “ Il miracolo della rosa” Modiano cita questa: “Quel bambino mi faceva capire che la vera sostanza dell’argot parigino è una mesta tenerezza” riferita ora ai bambini che nascono in Italia da nazionalità diversa e parlano italiano essendo stranieri, riferito a Dora, a tutti i bimbi ebrei, polacchi oppure palestinesi, che parlavano e parlano con l’accento parigino usando termini di argot di cui Genet sente mesta tenerezza.

Tenerezza nel ricordare.

Dopo la catastrofe dello sterminio, dei campi di concentramento, delle divisioni fra razze, dei forni, degli esperimenti, del collettivo partecipare a riti di pulizia etnica, dopo… Tutto cancellato nella Parigi disegnata dallo scrittore, i quartieri, i luoghi della scomparsa di Dora, delle retate, dello smistamento.

“Mi sono detto che nessuno ricorda più niente. Dietro il muro si stendeva una no man’s land, una zona di vuoto e di oblio… Eppure sotto quella spessa coltre di amnesia si sentiva qualcosa, di quando in quando, un’eco lontano, soffocata, anche se nessuno sarebbe stato in grado di dire cosa, con precisione. Era come trovarsi all’orlo di un campo magnetico, senza pendolo per captarne le onde.”

Tutto resta fra le strade come un sussurro.

La solitudine permette di ascoltare il fruscio dei suoni, delle parole di chi non c’è più, la solitudine permette a sconosciuti di invadere i nostri pensieri e dialogare con noi, oltre il tempo, oltre il sensibile, con un respiro.

Da cosa scappava Dora, si chiede Modiano, parlando di lui, lui è Dora.

Che cosa ci induce a scappare, oppure a nasconderci? Vediamo cosa scrive Modiano: “Sembra però che ciò che ci spinge a fuggire d’improvviso sia un giorno di grigiore e di freddo che ci fa provare una solitudine ancora più acuta è la sensazione di una morsa che si chiude”.

Ora Modiano dice una cosa che dico io, che diciamo tanti: ”Come molti altri prima di me, credo nelle coincidenze e talvolta a un dono di veggenza nei romanzieri… e la parola dono non è il termine giusto, dal momento che suggerisce una sorta di superiorità. No, si tratta di qualcosa che fa parte del mestiere: gli sforzi di immaginazione, necessari a questo mestiere, il bisogno di fissare la mente su piccoli particolari…”, questa tensione può suscitare fugaci intuizioni concernenti fatti passati o futuri, come scrive il dizionario alla voce < Veggenza>.

E questo pomeriggio di domenica siamo di nuovo in inverno, con Dora Bruder, con Modiano, in una commozione di simili, di appartenenza a fughe solitarie, di appartenere ai disegni della storia che ci chiedono sempre una azione, ignorando noi il fine.

Un libro grande nel suo essere vuoto di fatti e sull’abisso dove molti parteciparono per annientare categorie, etnie, linguaggi, famiglie.

Un orrore così grande che ci regalò altri settanta anni di pace. Terrorizzati.

Riusciremo ancora a preservarci? L’augurio che mi faccio e che si saranno fatti al Nobel consegnandolo nelle mani di Modiano.

Ippolita Luzzo


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