Illustrazione di Elena Vera Stella tratta dal libro "Il profumo della cioccolata calda" di Mirella Samele (Edizioni Librellula)
17 maggio 2022
Illustrazione di Elena Vera Stella tratta dal libro "Il profumo della cioccolata calda" di Mirella Samele (Edizioni Librellula)

BLOG-le firme di Reportage

LITWEB. «Le grispelle» di Ippolita Luzzo


Di venerdì sulla rubrica Memorie di Cucina, curata da Pinuccio Alia, vi sono racconti di famiglia, con i ricordi più cari sulla cucina e gli affetti. Sul Quotidiano del Sud questa settimana ho avuto il piacere di rispondere alle domande di Pinuccio Alia e nel raccontare ritornava vivo il passato che presente è.

Al momento della ricetta ho scelto le grispelle dell’Immacolata che la mia amica Mirella fa ogni anno come un rito di accoglienza e di amicizia. Infatti frigge tutto il pomeriggio e poi invita familiari e amici. Lei ha raccontato nel suo libro “Il profumo della cioccolata calda” la ricetta delle grispelle a lei tramandata dalla mamma e che io ho un po’ saccheggiato qui. Infatti devo confessare di non aver mai fatto le grispelle ma di averle sempre mangiate preparate squisitamente dalla mia mamma e dalle mie amiche Mirella e Elisabetta ogni anno. Ed ora vi ripropongo l’intervista con un grande abbraccio a Pinuccio Alia.

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Chiedo ad Ippolita Luzzo, un fiume in piena: raccontami di te …in poche righe

“Raccontami di te, mi chiedi tu!, in poche righe, ed io non so raccontar di me se non rimandare tutti al blog Il Regno della Litweb dove da dieci anni io scrivo e racconto di me, come astrazione, come personaggio fra personaggi, come lettrice appassionata, con riconoscenza verso gli studi amati, verso il Liceo Classico e la facoltà di Filosofia, riconoscenza verso la scuola che forma, accoglie e dona conoscenze.

Nel luglio 2011 scrivevo nel mio pezzo: Dove ritorniamo

“Nella circolarità della nostra vita ritorniamo sempre all’infanzia, all’adolescenza, tutto quel che succede dopo è un giro di giostra, una schermata e poi l’infanzia ci insegue e ci riporta indietro. A lei ritorniamo più o meno consapevoli, più o meno felici, più o meno soddisfatti.

Le rondini di maggio, i loro voli, circolari, rasenti il mio balcone e di fronte la Chiesa barocca, il suo bellissimo giardino che nessuno ricorda più.

La nonna che fumava qualche sigaretta, di nascosto, come una ladra, dietro una finestra, lo zio lento, maldestro, che sicuramente avrebbe rotto qualche tazza, avrebbe versato il latte per le scale.

La mia mamma che lavorava, con i capelli corti, un foulard in testa, scendeva in una botola, prendeva la carbonella, preparava un braciere per una serie di maschi ai quali era d’uopo riscaldarsi.

Le donne di casa preparavano grandi ceste con cenere fumante e le lenzuola bianche sotto la cenere profumavano, di buono, di famiglia.

Ugo mi accompagnava a scuola, Palma veniva dalla nostra campagna, dormiva da noi il sabato, poi ritornava alle sue galline, ai suoi cani, ai gatti

Com’era casa tua, com’era la cucina di casa tua?

La cucina in muratura, il forno a legna per fare il pane, i taralli per Pasqua, con l’anice nero, ed il baccalà con le patate del venerdì.

Ero convinta mi volessero avvelenare bambina, chissà perché, leggevo troppe favole nere, ero convinta di essere di troppo, in quella famiglia numerosa, articolata, complessa. Ero sicuramente non capita.

Non c’era il tempo.”

Il pezzo termina “Come se fossi ancora in quella casa dove peraltro non vivo più da tanti anni.

Ma non sono vissuta da nessuna altra parte, non ho ricordi delle altre case dove ho abitato, non ho ricordi di questa dove abito da più di quindici anni.

 Tutti noi non andiamo da nessuna parte, ma è bello andare.

Il tempo è circolare, nulla si perde e tutto è per sempre, ma la selezione annulla il superfluo, il banale, il quotidiano, annulla lo squallore di una vita falsa e ci ridà le immagini essenziali a dirci chi siamo.”

Nella selezione attraverserò velocemente abitudini e luoghi scomparsi per sempre.

Riaffiora la tua casa,riaffiorano i ricordi della cucina di casa tua

Sono nata nel 1954 e cresciuta in una casa storica, accanto al Palazzo D’Ippolito, la cui facciata è uno degli esemplari più pregevoli di arte barocca nel meridione. Mia nonna era figlia del marchese Felice Antonio D’Ippolito, mentre mio nonno era un proprietario terriero, senza però avere ricchezza. La casa era grande, la cucina era grande, ma senza confort, vi pioveva dentro. Era un gelo perfetto, spifferi e fumo, d’inverno, caldo e noia, d’estate.

Una numerosa famiglia patriarcale, i pochi soldi venivano dati dal nonno, previa richiesta supplichevole, anche perché lui stesso non ne aveva.

 Non mancava però mai il cibo, il latte fumante nei secchi portato dalla stalla a casa, le primizie, avendo la campagna ci arrivavano i primi fichi raccolti e portati nelle grande foglie, cesti chiusi colmi di lumache, alle prime piogge, gli odorosi mandarini, l’uva e poi l’olio di prima spremitura, verde, verdissimo, da poter ungere il pane caldo, appena uscito dal forno.

La cucina in muratura con accanto il forno a legna è rimasta così fino al 1973-74 e ricordo le mie compagne di scuola, che vivevano in appartamenti confortevoli, rimanere ammirati da tanta storicità. Accanto alla cucina una stanza per le provviste, dove si appendevano le salsicce, i capicolli, dove si stipavano i “salaturi” con le frittole, la gelatina e il grasso di maiale. Ogni anno si uccideva il maiale e si portava a casa squartato a metà per essere poi sezionato e preparato. Ognuno aveva il suo compito e mia nonna stabiliva “le partenze” cioè i pezzi di maiale da mandare in regalo ai vicini di casa.

 Mia sorella piccola bucherellava le salsicce e tutti si riunivano ad assaggiare la carne impastata con sale e conserva di pepe rosso prima di insaccarla.

Si provvedeva anche alla cura del ripostiglio?

D’estate mia madre metteva ad essiccare in terrazza pomodori spaccati, fichi, e pepe rosso.

D’estate era il tempo delle bottiglie, della salsa di pomodoro da fare per la famiglia, già di per sé numerosa, e per tutti i parenti, che ben felici dell’ospitalità di mia nonna erano sempre a chiedere, tanto chi doveva lavorare era mia madre. Io ne ero molto infastidita. Mia madre, angelo buono, mai si è lamentata di ciò e ha accolto tutti sempre col sorriso e ha fatto conserve, maiali, salsa di pomodoro e parmigiane, per una pletora di parenti.

Credo che tutto ciò poi sia scomparso via via, con la morte dei nonni, con la ristrutturazione della cucina, già verso la fine degli anni settanta non esisteva più il forno a legna e la cucina in muratura. Scomparsa la cucina e scomparsa la famiglia patriarcale, scomparsi i vicini di casa, scomparse quelle usanze, scomparsi i parenti che, ancora oggi vengono rievocati con mestizia da mia madre che ha compiuto 98 anni proprio il 19 febbraiodi questo anno.

Io non ho un ripostiglio a casa dove abito da quasi trent’anni.

Gli usi da oltre un ventennio sono stati travolti dalla trasformazione dei tempi e dalle situazioni diverse.

Mai avrei immaginato di saper vivere da sola, di dover vivere da sola, di sentirmi però in compagnia di tantissime persone che vedrò una o due volte in tutto nella mia vita, ma che fanno parte dei miei affetti molto più della parentela di un tempo.

Raccontami una ricetta che ti è rimasta nel cuore

Le Grispelle dell’Immacolata, che le mie amiche fanno ogni anno:

Le Dosi:- un  kg di farina,- duecento grammi di patate lessate, ed ancora due cubetti di lievito di birra. non deve mancare un pizzico di sale ed ovviamente l’acqua che necessita

Procedete così: Bollire e poi schiacciare le patate, unirle alla farina, aggiungere l’acqua con il lievito e il sale, tenendo conto che l’impasto al tatto deve risultare semi-solido.

Impastare per molto tempo, affinché l’impasto inglobi aria.

Lasciare lievitare almeno dieci ore avendo cura di rompere di tanto in tanto la lievitazione.

Friggere in abbondante olio d’oliva.

Nella versione salata aggiungere un pezzetto di acciuga, o di baccalà.

Ippolita Vi aspetta  nel Regno della Litweb

Pinuccio Alia (Quotidiano del Sud-rubrica Memorie di cucina, venerdì 13 maggio 2022)


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