“Le due casistiche, italiana e cinese, non si possono confrontare facilmente perché le popolazioni sono diverse: noi abbiamo pazienti più anziani e più in sovrappeso, loro hanno più giovani e in un rapporto maschi-femmine con più donne. Ma per quanto riguarda il quadro polmonare, però, fra i nostri pazienti già a 6 mesi il 70% stava bene, aveva avuto una buona ripresa. Avevamo poi un 20% con una dispnea ancora lieve e delle alterazioni, e un altro 10% con manifestazioni più importanti. La nostra analisi è stata stringente perché abbiamo invitato tutti a controllo e non son pochi i pazienti che abbiamo visto, circa 500 che erano stati ricoverati”.
Le manifestazioni del Long Covid “più sul fronte neurocognitivo da noi sono prevalenti sul lungo termine – spiega Rovere Querini – Sindromi come la nebbia cognitiva soprattutto, per fare un esempio. In questo caso queste manifestazioni persistono in un 30% della popolazione, a un anno. La nebbia cognitiva è finita spesso sotto i riflettori per i racconti di chi l’ha vissuta. E questa espressione del Long Covid, la parte neurocognitiva, avverte l’esperta, “è indipendente dalla gravità. Da quando il nostro ambulatorio è stato aperto” anche a pazienti esterni che non erano stati ricoverati nella struttura, “sono arrivati con questa sindrome anche molti pazienti che hanno avuto un Covid lieve, curati a casa. Molti sono giovani, dai 25-30 anni in su. Nella nostra casistica queste manifestazioni sono un po’ più prevalenti nelle donne, che alla fine hanno avute un Covid meno grave rispetto agli uomini. Ecco, è questo aspetto del post Covid che a me colpisce e mi preoccupa di più: che impedisce al paziente, anche giovane, di ritornare alla vita personale e lavorativa precedente”.
“Ho avuto pazienti – continua Rovere Querini – che avevano anche lavori molto impegnativi e che adesso faticano molto a riprendere la loro posizione nel mondo. Persone che devono cambiare mansione per una con meno responsabilità o che continuano a fare il loro lavoro con fatica”. Come una donna dirigente che faceva mille riunioni al giorno, molto affermata e sempre dinamica: “Ha dovuto prendere una segretaria perché dopo il Covid all’uscita dai meeting non riusciva più neanche a ricordare cosa si era deciso. E’ andata avanti così per un semestre. E’ questa la nebbia cognitiva, è difficile da capire quanto possa essere invalidante se non la si vive”. Significa parlare al telefono e quando si è chiusa la conversazione non ricordare cosa ci si è detti. Significa “correggere le bozze dei manoscritti per mestiere e all’improvviso non riuscire più a valutarli, perché le parole non risultano essere più evocative come prima”. Tutto rallenta, tutto è più difficile.
E chiunque potrebbe potenzialmente essere esposto a questo tipo di problematica, conferma la specialista. “E non ho la sensazione che i pazienti vaccinati che hanno delle forme più lievi siano del tutto esenti da queste sequele”, osserva. Questa mancanza di lucidità può durare settimane, ma anche mesi. Ed è “curabile, con delle eccezioni che richiedono di essere seguite più a lungo. Non tutte le forme sono lievi, in alcuni casi si deve fare una terapia cognitiva e altri trattamenti. Ci sono degli esercizi che servono a riabilitare il paziente, che secondo i nostri psichiatri sono anche molto efficaci. Ma è importante parlarne, serve consapevolezza a livello di società e dare il tempo alle persone di guarire”.
Tutti, anche nel mondo del lavoro, devono sapere che il problema esiste e che ci può volere del tempo perché passi. “Bisogna che i pazienti possano aver tempo. E che sia chiaro che non dipende da quanto grave sia il Covid che si è avuto. Secondo me noi dobbiamo mettere in campo le risorse sanitarie perché queste persone possano avere accesso a tutti i trattamenti di cui hanno bisogno. Non credo che ci siano ancora tanti ambulatori di Long Covid dove c’è la possibilità di avere lo psichiatra, lo psicoterapeuta, e le figure necessarie, gestiti con il sistema sanitario nazionale. Andrebbe forse potenziato questo aspetto, perché i pazienti sono veramente contenti quando vengono seguiti in questo percorso di guarigione, anche da psichiatri che possono affiancarli e tranquillizzarli. Il sistema ha fatto le esenzioni, ha messo le prestazioni, ma forse non ha vegliato sulla creazione delle strutture necessarie. Sembra ci manchino un po’, che ci sia una richiesta significativa”.