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26 agosto 2017

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‘Nduja calabrese, passione senza confini. Storia, curiosità e ricetta della rossa regina della tavola


La ‘nduja è una passione e non ha confini. La rossa regina della tavola ne ha fatta di strada: partita dalla piccola Spilinga in Calabria, ha conquistato il resto d’Italia, ha varcato i confini ed è arrivata oltreoceano, facendo parlare di sé i migliori chef di Londra e New York e perfino la famosa agenzia Bloomberg.

Ma i calabresi amano da secoli la ‘nduja, quel cibo dei poveri che nacque come umile insaccato fatto con gli scarti del maiale, il delizioso salame-non salame, la rossa crema piccante che sta bene con tutto e che contiene tutte le proprietà nutritive e curative sia della carne suina che del peperoncino.

L’origine di questo salume non è chiarissima, secondo alcuni studiosi è stata introdotta nel Cinquecento dagli spagnoli insieme al peperoncino, mentre secondo altri arrivò con la dominazione napoleonica, quando tra il 1806 e il 1815 fu introdotto nel Regno di Napoli un insaccato simile che si chiamava andouille. Certamente la creazione della ‘nduja però è tutta merito dei calabresi, che conoscevano l’arte della lavorazione del maiale già dai tempi della Magna Grecia.

La ‘nduja è un insaccato a base di carne di maiale, peperoncino e sale: pochi ingredienti ma di qualità e precisione e rigore nella preparazione. Le materie prime sono le parti grasse del suino (lardello, guanciale e pancetta). Il grasso utilizzato è quello ricavato dal sottopancia, dalla spalla, dalla coscia, per così dire di scarto, quello che non serve per la sugna, le salsicce e la soppressata. Il grasso veniva, e viene pure oggi, macinato utilizzando dischi a buchi stretti.

La pasta formata da grasso e carne di maiale viene mescolata a mano con il peperoncino rosso, secco, piccante, macinato. Tra la massa di carne e grasso ed il peperoncino aggiunto ci sono rapporti ben precisi, di solito a 2 Kg di carne si mescola 1 Kg di peperoncino, ma questo rapporto può variare mentre di sale se ne aggiunge il 3% circa sul totale del peso.

Il prodotto così ricavato ha una consistenza cremosa, dal sapore piccante e profumo intenso, che si conserva nel budello cieco detto orba, l’intestino tenue. Orba (dal latino orbus, cieco) è anche il termine adoperato nella zona di produzione per indicare la ‘nduja che ha forma cilindrica, dalla pezzatura tra uno e due chilogrammi.

Completata la lavorazione, la ‘nduja deve seguire il processo dell’affumicatura, utilizzando legno aromatico come l’ulivo e la robinia. L’affumicatura dura circa 10-12 giorni e poi si procede con la stagionatura, che va dai 3 ai 5 mesi, effettuata in ambienti opportunamente aerati.

La ‘nduja si può già mangiare dopo 15-20 giorni di stagionatura ma anche dopo un anno, e conserva intatte tutte le sue caratteristiche organolettiche nonché la caratteristica consistenza cremosa.

Inutile sottolineare che la materia prima deve avere determinate caratteristiche: l’allevamento del maiale deve essere tradizionale, antico, animali liberi, con un’alimentazione che privilegi cereali, legumi, ghiande, crusca, ortaggi e frutta.

L’altro ingrediente è il peperoncino che deve essere di prima qualità e del territorio. Esso è ottenuto da piante esclusivamente coltivate sull’altipiano del Poro, le varietà, denominate localmente di Spilinga sono due: la prima ha forma allungata, colore rosso e sapore piccante; la seconda, invece, ha forma tonda, colore rosso e sapore relativamente dolce.
Annamaria Persico


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