borrello
20 dicembre 2018

Storia, miti e leggende della Calabria e del Sud

«Prufhissù, prufhissù!»: ricordo di Enrico Borrello nel 50° della sua scomparsa


di Francesco Gaspare La Scala

Le passeggiate scolastiche guidate dal professor Borrello credo abbiano reso felici ed incorreggibilmente curiose folte schiere di alunni delle nostre elementari. Lui amava spiegare e raccontare fatti antichi ai suoi ragazzi con le “zanelle arripizzati ” e, in tanti, anche scalzi.

Loro gli saltellavano intorno ponendo mille domande diverse e cercavano di catturarne l’ attenzione con un coro trafelato di: “Prufhissù, prufhissù!”
Ricevevano risposte con sorrisi che abbracciavano, quegli scolari! E quei sorrisi mi sembrava che celassero un prezioso segreto da comunicare. Un segreto per i suoi alunni, non per me, pensavo adombrandomi.
Osservavo , con una punta di invidia, questa indimenticabile scena nei pressi di Caronte, negli anni 50, anch’io scolaretto trasognato in passeggiata con il mio maestro, in una limpida mattinata di primavera.
A distanza di un cinquantennio dalla scomparsa del prof. Enrico Borrello ( 20/12/1968), questo fotogramma, che conservo ancora gelosamente fra i miei ricordi più cari, rende di Lui l’immagine più genuina e vera. La più amata, credo, da noi sambiasini.

Una intera vita, tuttavia la Sua, dedicata con intensa passione , oltre che all’insegnamento, anche alle ricerche sulla storia del nostro territorio, alla stesura di numerosi testi ed articoli che hanno ricostruito, in più punti importanti, il nostro antico retaggio greco-romano e fatto luce sui successivi periodi , da quello bizantino al normanno, fino al Risorgimento e all’Unificazione.
Non di meno, con la Sua attenta e produttiva partecipazione al dibattito culturale del tempo come giornalista, come esperto archeologo, intenditore di arte e sensibile antropologo ha dato un contributo inestimabile alla valorizzazione dell’immagine del comprensorio lametino e di tutta la Calabria.

Le numerose medaglie e i prestigiosi riconoscimenti da Lui ricevuti testimoniano il corale apprezzamento della Sua opera e del Suo impegno.
Credo, però, che il merito più grande del nostro prof. Enrico Borrello rimanga ancora racchiuso in quel suo sorriso ampio e misterioso che riservava ai suoi alunni e che, oggi, abbiamo il dovere di tentare di decifrare. La consueta retorica locale appagata e assopita non ha mai prestato attenzione a questo rilevante aspetto umano e sapienziale del nostro Professore.
Un sorriso ampio e sereno nasconde sempre una consapevolezza di chi sorride, che resta , però,un mistero per gli altri.

La Sua consapevolezza e la Sua serena forza, si può supporre, fossero contenute nella comprensione profonda dei legami tra uomo e luogo che lo accoglie e dei mutamenti reciproci che avvengono tra di essi nel tempo rendendo uomo e luogo un “unicum” indifferenziabile.
Nei millenni abbiamo perso il senso di questa profonda identità, ci dice il Professore con il suo sorriso:” Occorre recuperarla” . ” Esserci” in un luogo significa diventare parte integrante del “genius loci” di quel territorio, esserne l’anima , così come “il tuo territorio ti entra nell’anima”. Credo che il nostro Professore abbia compreso ed incarnato questo concetto ancor prima ed indipendentemente da Heidegger e ne abbia fatto il suo ” concetto guida” da inculcare a noi.

Un insegnamento, questo, di immenso valore, che spiega il senso del Suo dedicarsi, “prendersi cura” del proprio territorio, della sua storia, dei suoi figli, con umiltà, con determinazione, con lealtà ed onestà, ciò che , in sostanza, per Lui significava specularmente “prendersi cura di se stesso”.
Questo il valore reale della Sua fine didattica ” prendersi cura del proprio territorio è prendersi cura di se stessi”.

In pochi hanno compreso questo Suo intimo modo di essere e, a distanza di 50 anni dalla Sua scomparsa, ci ritroviamo in una Lamezia che disconosce l’identità uomo/territorio e si dibatte da decenni in un fallimento ascrivibile ad una politica di insipida e povera omologazione culturale e di dileggio ambientale attuata da una stolta regìa priva di qualsiasi sensibilità civile e sociale.
Oggi, più che mai, avremmo bisogno di uomini come Lui che sappiano trasmettere con un sorriso valori così essenziali e che portino avanti con modestia quell’intenso dialogo da Lui instaurato con i classici greci e romani, con il Rohlfs, con il Lenormant e con gli spiriti antichi della nostra Piana, dei nostri Monti, del nostro Istmo.
In omaggio al nostro Professore impariamo, quindi, a sorridere a noi stessi.


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