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19 maggio 2020

BLOG-le firme di Reportage

ROVISTANDO NEI CASSETTI di Fiore Isabella: «Il fattore K non c’è più… »


Preso dall’ardore senile di negare dignità al tempo che passa ho omesso, per troppo tempo di aprire i cassetti del mio studio dove è conservata la memoria del mio incontro con il mondo: con la scuola, prima da discente e poi da insegnante, con gli Scout di Baden Powel, con la politica, con il teatro in vernacolo.

La prima immagine uscita fuori all’esordio del “rovistamento” di un cassetto intorpidito da un trentennale letargo è una pagina ormai ingiallita dell’organo del Partito Comunista Italiano, L’Unità, datato martedì 13 febbraio 1990, 3 mesi dopo la caduta del Muro di Berlino. La pagina è quella che ospitava i commenti su un tema che divise l’Italia, e non solo gli eredi di Togliatti. E a proporci temi su cui riflettere era Raniero La Valle un intellettuale Cattolico, parlamentare della Sinistra Indipendente, candidatosi per il Senato nella Liste del PCI. Proprio Lui, non uno sfegatato assertore ideologico dell’ortodossia terzinternazionalista, titolava così ”Caro PCI, perché ti affanni il fattore K non c’è più”.

Nell’occhiello una premessa che contestualizzava un’affermazione perentoria figlia legittima, peraltro, degli insegnamenti del Concilio Vaticano Secondo: “I comunisti sbagliano se pensano di sacrificarsi in nome di vincoli esterni il vero problema è ora sbloccare la democrazia in Italia e in tutto l mondo”. A suo tempo, quando ancora quella pagina fresca di stampa, intessuta di personali sottolineature, non aveva l’aspetto dell’invecchiamento collettivo, la riflessione di Raniero La Valle mi sembrò in tutta la sua pregnanza culturale come un atto di resistenza indispensabile per evitare la diaspora di un Partito che aveva, insieme ad altre forze ideali, scritto la Costituzione e ricostruito il Paese. Il vincolo esterno, formalizzato, negli anni 70, al vertice occidentale di Guadalupe con la definizione Kissingeriana di ordine “della restaurazione”, impediva al Partito di Berlinguer, cioè all’interlocutore privilegiato di Aldo Moro, di essere accreditato presso il segretario di Stato Americano e i suoi alleati, a cui non interessava valutare i caratteri identitari di una forza rinnovata e democraticamente affidabile ma solo che fossero comunisti. Al di là di questo, che era figlio, dice La Valle, di un “…ordine politico mondiale imprigionato nel sistema di dominio e di guerra garantito dall’equilibrio bipolare del terrore”, c’era una ragione legata al tarlo del pensiero debole, che era presente anche nella politica del PCI cioè l’idea presente anche nel programma della socialdemocrazia tedesca “…che la politica non ha niente a che fare con la felicità degli uomini, e si è diffusa, ingigantita dai media, la voce che le ideologie sono finite, e senza meritare una lacrima. In realtà viene dichiarata la fine delle altre ideologie ma il capitalismo resta.” Alla fine, per ritornare al tema della felicità che è la massima aspirazione della dimensione umana, non si può negare che a vincere la sfida sia stato proprio il capitalismo che ha dovuto costruire “una coscienza che non si trova in natura”, cioè una coscienza alienata che ha fatto del denaro un trascendente e dell’acquistarlo una vocazione. Cosa rimaneva da fare, prima di essere sacrificato all’eutanasia, allora al PCI e cosa, francamente difficile, rimane da fare oggi se non recuperare un “pensiero forte” che rimetta al centro la ripresa di una concezione alta della politica, intesa come qualcosa che ha a che fare con il destino dell’uomo. Forse un approfondimento del significato di sacrificio che prende valore dentro la scelta di non essere per sé ma per gli altri ma, conclude Raniero La Valle,“per poter essere per gli altri bisogna esserci, con la propria identità, il proprio nome e le proprie bandiere” Riletta la pagina ingiallita dal tempo, che mi ha fatto scorgere le ombre di un’ utopia svanita, ho pensato di far cosa gradita, nella peggiore delle ipotesi almeno a me stesso, a chi sente ancora il bisogno di disturbare il passato rovistando nei propri cassetti, e non solo per svuotarli. Ero partito, infatti, dall’esigenza del pensionato in disarmo di fare pulizia in uno studio dove ancora riposano, insieme ai miei libri, inserti di giornali, appunti di pedagogia, copioni di commedie in vernacolo, delibere comunali e testimonianze normative di legislazione scolastica e tanto altro ancora da affidare all’archivio non più consultabile di un’isola ecologica. Ma la consapevolezza di vivere in un paese, disinteressato ad elaborare un “pensiero forte” che rischia di mandare in corto circuito anche la nostra memoria, mi ha convinto ad aprire i cassetti ad uno ad uno e di cantare un inno di ringraziamento al disordine.

Fiore Isabella


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