In Italia il 70% dei celiaci risulta non diagnosticato e soprattutto non trattato. Un dato ben lontano dalle 600.000 diagnosi attese. E se da un lato la celiachia è la malattia più sotto-stimata, dall’altro è anche quella che ha un altissimo numero di diagnosi sbagliate. Questo a causa di diagnosi fai-da-te, risposte cercate su Internet e sui social network, «mode» secondo cui togliere il glutine dalla dieta fa comunque bene, una serie insomma di credenze e falsi miti che fa male alla salute.
Per far luce in questo groviglio e trovare la strada per uscire dal labirinto, l’Istituto superiore di sanità ha organizzato il convegno «Allergie, intolleranze e celiachia: tra verità scientifiche e falsi miti», in collaborazione con l’Associazione italiana celiachia e la Società italiana di scienze applicate alle piante officinali e ai prodotti per la salute.
«L’esposizione al glutine per un soggetto celiaco, significa non solo la persistenza dei sintomi e segni legati alla malattia e un aumentato rischio di complicanze», spiega Marco Silano, esperto di celiachia dell’Iss «ma anche giorni persi di lavoro e un carico di spese per il Servizio sanitario nazionale. Pertanto la diagnosi precoce di celiachia non è solo un atto dovuto per ciascun paziente, ma anche un intervento di sanità pubblica. In questo senso va considerato l’aggiornamento delle linee guida per la diagnosi e il follow-up della celiachia, pubblicato lo scorso agosto nella Gazzetta Ufficiale».
«Le difficoltà di una diagnosi precoce e corretta», conclude Silano «sono molte: la scarsa conoscenza delle modalità di esordio da parte dei medici che operano sul territorio; le indicazioni che si trovano sui social per ricorrere a test diagnostici di intolleranze ed allergie, privi di alcun fondamento scientifico, che per di più costano molto e portano a diete di esclusione senza motivo; la moda del glutine dannoso per tutti, per la quale si è addirittura arrivati a coniare il termine glutenfobia, e che può portare a mancate diagnosi o a ritardi nelle stesse».