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27 ottobre 2015

News

Turismo e agroalimentare, binomio vincente per l’Italia


Oggi i territori italiani con i tassi di occupazione più alti sono caratterizzati da una specializzazione produttiva turistica o agroalimentare. Tra i primi 30 sistemi locali del lavoro per tasso di occupazione, ben 13 hanno una specializzazione produttiva legata al turismo: da Bressanone a Vipiteno e Ortisei, in provincia di Bolzano, a Bormio, in provincia di Sondrio. E 5 sono a vocazione agroalimentare: da Brunico ed Egna, a Bolzano, a Borgo San Lorenzo (Firenze) e Alba (Cuneo). Sono esperienze da cui si può e si deve ripartire per rifare sviluppo. Indicano che la filiera del cibo ‒ dalla produzione alla distribuzione, al consumo ‒ è oggi un formidabile moltiplicatore di opportunità per i territori: agroindustria, ristorazione, turismi diventano le componenti di nuove ibridazioni tra i patrimoni enogastronomici, culturali, paesaggistici, storici dei territori. Nel primo semestre del 2015 l’occupazione nei servizi di alloggio e ristorazione è cresciuta in Italia del 5,4% rispetto al primo semestre del 2013 (+7,4% nelle regioni meridionali). E negli ultimi tre anni c’è stato un vero e proprio boom di aziende agricole (+48,5%, sono quasi 113.000), soprattutto di quelle che affiancano all’attività agricola altre attività come la produzione di energia rinnovabile (+602%), la lavorazione dei prodotti (+98%) o fanno agriturismo (+16%). Vincono i territori che si fanno riconoscibili e incarnano la good reputation del made in Italy per il mondo, intercettando la domanda globale di tracciabilità e autenticità. Intanto decolla il turismo: quasi 900.000 visitatori in più nei primi cinque mesi del 2015 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (35,7 milioni di arrivi) e oltre 2 milioni in più rispetto ai primi cinque mesi del 2013. È quanto emerge dalla ricerca «Il futuro dei territori. Idee per un nuovo manifesto per lo sviluppo locale» realizzata dal Censis per il Padiglione Italia di Expo 2015.

Contrastare il rischio di una secessione di fatto del Mezzogiorno. Negli anni 2010-2014 il Pil del Sud ha registrato una riduzione dell’8% in termini reali, quasi quattro volte peggio rispetto al Nord-Ovest (-2,9%) e al Nord-Est (-2,7%), e quasi il doppio rispetto al Centro (-4,3%). I dati testimoniano i rischi di una fase terminale di una secessione di fatto del Mezzogiorno avviata nel nuovo millennio, visto che anche nel precedente periodo 2000-2010 il Sud ha perso il 3,3% del Pil, mentre l’economia del Nord-Ovest è cresciuta del 5,2% e quella delle regioni del Centro del 7%. Ma in passato non è stato sempre così. Negli anni Settanta il Pil del Mezzogiorno ha registrato complessivamente un +46,4% in termini reali (una crescita maggiore del +45,2% della media nazionale e del +34,1% del Nord-Ovest). Anche negli anni Ottanta il Pil del Sud è cresciuto più che negli altri territori: +30,2% rispetto al +26,9% della media nazionale, al +24,4% del Nord-Ovest, al +25,1% del Nord-Est e al +29,2% delle regioni del Centro. E pure negli anni Novanta l’economia del Sud cresceva: il Pil è aumentato agli stessi ritmi del Nord-Ovest (+13,8%). Al contrario, nel nuovo millennio (2001-2014) il Pil del Mezzogiorno è crollato complessivamente del 9,4%, mentre la flessione a livello nazionale è stata dell’1,1%, il Pil della Ue a 28 Paesi è cresciuto del 17,9% e quello dei Paesi dell’area dell’euro è aumentato del 13,6%.

Gli elevati divari economici in Italia e in Europa. In Europa il Pil pro-capite più alto si registra nell’Inner London, dove raggiunge 94.100 euro: 25 volte di più rispetto alla regione bulgara Severozapaden, la più povera del continente, dove il Pil per abitante è fermo a 3.800 euro. Nell’Inner London il Pil pro-capite è pari a quello di 6 residenti della Calabria (15.200 euro) e comunque vale il doppio di quello dei residenti della Provincia autonoma di Bolzano, che sono i più benestanti d’Italia (40.000 euro). Un residente a Bolzano ha un Pil pro-capite equivalente a quello di quasi 3 calabresi.

Dare lavoro ai meno occupati del continente. Quattro regioni meridionali (Sicilia, Campania, Calabria e Puglia) si collocano agli ultimi quattro posti della graduatoria europea per tasso di occupazione della popolazione con età tra i 15 e i 64 anni, al di sotto di regioni come le spagnole Ceuta e Melilla, della Réunion francese e addirittura di tutte le regioni della Grecia e del Portogallo. Tra le prime 20 regioni della Ue per tasso di occupazione non è presente nessun territorio italiano: figurano solo regioni di Germania, Regno Unito, Svezia e Finlandia. Il primo territorio italiano si colloca solo all’86° posto nella graduatoria europea: è la Provincia autonoma di Bolzano, con un tasso di occupazione del 70,8%. E bisogna scendere al 130° posto per trovare la seconda regione italiana nella graduatoria: l’Emilia Romagna (66,3%). Le regioni meridionali (in particolare, Calabria, Campania e Sicilia, con tassi di occupazione intorno al 39%) presentano valori inferiori alla metà del tasso di occupazione dell’eccellenza europea di vertice, che è la regione finlandese Åland (82 occupati su 100).


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