di LETIZIA CUZZOLA
Non so come iniziare la recensione, però so il perché: se non riesco a trovare le parole per introdurre un libro appena letto è perché la storia continua a girarmi dentro, almeno finché non trova un angolino in cui sedersi. Dentro mi stanno vorticando le immagini e le parole di “Alla deriva. Le indagini del Vicequestore Calveri” di Domenico Bucarelli e Gaetano Partinico (aprile 2025, autoprodotto o self-published come scrivono quelli bravi).
È una graphic novel, genere che credo riesca a mettere d’accordo tutti, grandi e piccini, e se avete storto il naso siete brutte persone e ancor di più dovete andare a comprarlo e leggerlo: al di là della forma che si voglia dare a un testo, del genere o delle propensioni naturali alla scelta degli argomenti con cui ci si sente più a proprio agio esistono dei libri che hanno una forza in sé. Punti di forza nel lavoro di Bucarelli e Partinico ce ne sono molti e credo mi perdoneranno se li tratterò singolarmente e “Alla deriva” come il primo convitato a questa mia recensione.
Il Vicequestore Calveri. Dichiaratamente esiliato da Firenze rientra a Reggio Calabria – come e perché lo scopriremo col tempo (spero breve) –, e già qui molti di noi hanno capito che qualcosa di grave pende sul suo capo perché Reggio è spesso una punizione anche per chi ci vive stabilmente. Ficca le mani su un caso che la maggioranza degli addetti ai lavori neanche avrebbe considerato tale, la vittima è di serie B, forse C per le classifiche di disumanità a cui ci stiamo abituando. E però Calveri, che si accolla pure la croce dell’avergli affiancato l’ispettore Sergi, nonostante l’aspetto burbero, da uomo tutto d’un pezzo ha forte il senso della giustizia, quella giustizia che non dimentica la pietas ormai solo di Romana memoria. Non dimentica che Reggio, entità a sé stante, è però immersa nel Mediterraneo e la citazione di Braudel nel paratesto ci ricorda che le sue acque sono Padre comune e che è una costruzione del tutto umana aver diviso le sue sponde in “buoni e cattivi”, come sulla lavagna in cui da scolari chi scriveva aveva la possibilità di salvare e condannare il compagno sgradito. Calveri non partecipa al gioco del silenzio, ma conduce la sua indagine e risolve il gioco riportando le regole e la Legge al suo posto da protagonista. Non svelo altro, ché poi vi lamentate e fino a settembre l’ufficio camurrie l’ho chiuso.
Testi e storia, Domenico Bucarelli. E qui la lettrice si mette di fianco e lascia il posto all’editor, ché purtroppo la deformazione professionale è una brutta bestia da domare. L’idea è originale, ammirevoli il fine e il coraggio di voler raccontare una storia di ordinaria noncuranza verso l’altro, il coraggio di metterci davanti agli occhi la polvere che nascondiamo sotto tappeti di buonismo. Però – e la verità viene sempre dopo il però – Domenico avrebbe dovuto osare di più, guidarci con mano ferma verso gli abissi del Vicequestore Calveri e non farceli solo vedere come se stessimo passando davanti a una vetrina. L’impressione è che ci sia una sorta di trattenimento nella scrittura per non anticipare quel che verrà dopo o, comunque, una compressione del personaggio e dei dialoghi. Gli riconosco che riuscire a non far capire chi sia realmente l’assassino finché non viene svelato è il sogno di ogni giallista, ma anche qui la sensazione è che il trucco riesca perché manca qualche indizio che avrebbe coinvolto di più il lettore (chi ama i gialli deve entrare in empatia e simbiosi con l’investigatore, banale ma efficace). Prova tecnica superata, ma si consiglia qualche balloon in più per la prossima indagine, anche a costo di venire personalmente a contarli.
Disegni, Gaetano Partinico. Qui torna la lettrice e ci torna con una gomitata a una costola. Dovrei scrivere dei disegni – realizzati a mano libera, perché so che ve lo chiederete anche voi e mi sono informata io per tutti –, ma la prima parola che mi viene in mente è “silenzi”: la bravura di Gaetano, quel quid che fa immergere nella storia mani e piedi, sta nell’aver avuto la capacità di trasmettere con la sola forza evocativa delle immagini quelle parti della narrazione che diversamente non sarebbero andate a colpire direttamente il lettore. Se, quindi e da un lato, c’è la maestria del disegnatore ad accompagnarci durante lo svolgimento della storia, dall’altro c’è il talento dell’artista che ci obbliga alle pause, a guardarci attorno e metabolizzare le pagine già voltate. Alzo le mani e poso la penna.
Giuro che ho finito. In conclusione, io al Vicequestore Calveri già mi ci sono affezionata un po’, non per campanilismo o per nostalgia, ma perché Reggio raccontata a fumetti, senza i suoi pregiudizi e le sue storture, appare per quello che è: una città del Mediterraneo in cui tutti ci sentiamo esuli e in un porto sicuro a giorni alterni. E forse è proprio questa la natura delle città di mare, vivere “Alla deriva”. Buon vento, Vicequestore.