di Ippolita Luzzo
Se il teatro non è teatro in volo non è teatro. Una meravigliosa performance artistica di attori e costumisti, arrangiatori di suoni e scenografi, regista e ogni quant’altro con Il grande spettacolo della fine del mondo in scena ieri sera a Lamezia. Una messa in scena ballata e musicata sul polveroso terreno del birrificio.
Una scenografia essenziale fatta con materiale di recupero e su tutto un grande uccello, fatto con i Pezzi di legno che il mare in tempesta sputa sulla sabbia. Le donne fanno offerte votive, le donne bellissime, rosse vestite di verde, bionde vestite di sole, ballanti finché non arrivano gli uomini, la guerra, la morte e lo sporco. Gli uomini giocano a dadi per spartirsi Pezzi d’Africa, quell’Africa ricca di petrolio, cobalto e diamanti.
Poi tutto precipita e resta un cadavere che viene innalzato su una altare costruito con quattro scatoloni che prima erano serviti da fondale alla scena. E fiori, manciate di petali sui riti, riti di una pietà antica, riti per opporsi alla guerra.
“Quasi a riprendere il mito della dea Cerere e al ratto di Proserpina, sua figlia, da parte di Plutone, dio degli inferi Il grande spettacolo della fine del mondo raffigura una operazione di teatro agit-prop, valorizzata da una particolare cura della qualità teatrale. Un teatro interdisciplinare che lavora sul confine, immerso nella vita, legato intimamente alla vita dei cittadini, che però non perde mai il suo essere poesia. Prevede AZIONI DI STRADA alla maniera del “teatro invisibile” dei gruppi teatrali tedeschi. Un teatro stupendo ed è questo il teatro che noi vogliamo”.
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