Un tempo, la maggior parte delle favole, iniziavano con “c’era una volta” raccontate, magari, da un’anziana signora, che, sull’uscio di casa, vestita da “pacchiana” il tipico abito tradizionale di alcune zone calabresi, ai bambini del paese, intervenuti curiosi, soleva dire: Piccoli miei, conoscete la storia del lupo e della fata regina? Così, vedendo i bambini, scuotere la testa in segno di diniego, lei, sorridendo, iniziava a raccontare. Tanto tempo fa, quando il Monte Reventino, che in dialetto chiamavamo “Riventinu” brulicava di creature fantastiche ed i suoi sentieri, non erano percorsi dai turisti alla ricerca della natura, quest’ultima sorprendeva gli esseri umani con nuovi doni: animali colorati, fate, gnomi, folletti, lupi buoni, farfalle, libellule, api e tante, tante creature uniche, come voi.
Quando ero una bambina della vostra età, abitavo in un piccolo comune che esiste ancora oggi, Platania, un antico borgo, che dal punto in cui si trova, come un viandante, osserva il mare. Sapete, i miei erano molto poveri, ma non ci mancava la felicità, quando eravamo a tavola, la sera, mia madre preparava la minestra, con le verdure spontanee che crescevano nel bosco, la divideva fra tutti noi e mio padre raccontava a me e mia sorella, della sua giornata nei campi. Lavorava in un grande uliveto, ed il fine settimana in un vigneto, non era voluto emigrare in Argentina come i suoi fratelli, amava questi luoghi, ed anche se alla sera era stanco, quando finivamo di cenare, prima di andare a dormire, giocavamo con lui con “u strumbulu” un gioco simile ad una trottola, che attraverso una cordicella, si faceva ruotare sul terreno. Siccome i soldi erano pochi, mia madre mi mandava, essendo la più grande, avevo 12 anni, a raccogliere legna nel bosco vicino casa.
La nostra abitazione non distava molto da una cascata, chiamata “della Tiglia” che ancora esiste, dove noi bambini andavamo quando le nostre madri lavavano i panni. Da lì scendevo per delle viuzze usate dai cacciatori e dai cercatori di funghi, ed iniziavo la mia raccolta. Cercavo rami non troppo piccoli, li legavo con una corda e mi facevo uno zaino, che portavo sulle spalle per un paio d’ore, poi rientravo a casa. Mia madre diceva sempre di stare attenta a ritornare prima che facesse buio, perché la notte c’erano i lupi, soprattutto uno, più grosso degli altri, con la pelliccia argentea e gli occhi cattivi. Un pomeriggio, ritornata da scuola, dopo aver fatto i compiti, fui mandata da mia madre a raccogliere altra legna, perché le giornate erano fredde e non avevamo il riscaldamento come oggi. Anche i vestiti che portavamo erano troppo leggeri, ma cercavamo di usarli fino alla fine, rattoppandoli, cucendoli e facendoceli bastare. A volte, non ci rendiamo conto di avere così tanti abiti da non pensare a chi invece ne è sprovvisto. Tutti noi bambini stavamo in guardia a non rimanere che fino al tramonto, altrimenti, lui, il grosso lupo cattivo, sarebbe arrivato e non avremmo avuto scampo. Quel giorno, non trovando abbastanza legna, mi addentrai un po’ di più e mi persi nel bosco, non riuscendo a ricordare la strada di casa, tanti erano gli alberi che mi circondavano. Tra le fronde dei castagni alti, vedevo saltare da una parte all’altra, quelli che mi sembravano scoiattoli. Ogni rumore, proveniente dalle piante intorno a me, mi faceva tremare di paura, perché, pensavo, da un momento all’altro, arriverà il lupo a mangiarmi.
Si fece buio, e mi fermai guardando i muschi che crescevano sulle cortecce, infatti per orientarmi, mio padre diceva sempre “che il muschio cresce a nord, sulla corteccia degli alberi che non è esposta al sole” non sapevo se fosse vero e andai nel panico. Purtroppo non riuscii, forse per la tanta ansia, a capire quale fosse la strada di casa e iniziai a piangere. Da dietro un cespuglio, udii un movimento, ed il cuore, mi balzò in gola. Poi, vidi uscire da lì una bellissima donna, capelli lunghi neri, occhi verdi, la pelle di color alabastro, ed al suo fianco il lupo di cui tutti parlavano, con il manto argentato ed uno sguardo severo. Feci un lungo respiro, indietreggiando, perché mi sembrava di sognare e per la paura, mi coprì gli occhi con le mani. La donna mi sorrise, presentandosi: Sono Gelsomina, benvenuta nel mio bosco, non temere, posso fare qualcosa per te? Vorrei tornare a casa, le dissi con la voce tremante, tu mi ci puoi portare? Qui, posso fare tutto, come ti chiami? Alba, anche io abito alle porte del bosco, i miei genitori saranno in pensiero. Non piangere, io e il Lupo ti porteremo a casa, da qui, dista appena mezz’ora di cammino. Fui sollevata, così ci incamminammo, e dopo pochi metri, incuriosita, volli sapere come mai andasse a spasso di notte con un lupo. C’era un tempo, disse Gelsomina, in cui questi boschi erano popolati da creature meravigliose, magiche: fate, folletti, salamandre gialle e nere, volpi, istrici, tassi, poi arrivò l’uomo, il cacciatore e iniziarono i pericoli. Le chiesi quali fossero e lei continuò il suo racconto. La natura è armonia, non esiste l’odio, tutto è in equilibrio. Il sole sorge, illuminando i campi e permettendo ai fiori di sbocciare. Al tramonto invece, la terra si riposa, e solo alcuni di noi escono di sera per salutare le creature del bosco, come gufi, civette, lucciole. Noi fate abbiamo il dono di spostarci da un posto all’altro, semplicemente desiderandolo, così che conosciamo questa zona, il monte che voi chiamate Reventino, perfettamente. Sei una fata? Le chiesi con immenso stupore. Ed il lupo? Lei rispose che era suo marito, aveva il potere di trasformarsi in essere umano solamente di giorno, mentre la notte era un lupo a tutti gli effetti. Ma è cattivo? Le domandai con un po’ di esitazione. Gelsomina, si fermò, accarezzandolo sulla testa, poi mi chiese di fare altrettanto, e pur con qualche titubanza, lo feci, rendendomi conto che non solo era docile e buono, ma addirittura i suoi occhi, brillavano di una luce mai vista. Allora non sei cattivo, esclamai guardandolo e sorridendogli! Qualcuno ci ha anche dedicato un luogo, proseguì il suo racconto Gelsomina, il mulino delle fate, dove delle nostre sorelle umane, si riuniscono spesso, combattendo tutti i giorni contro i mostri che si presentano loro davanti. Ognuna di noi ha un compito, vegliare e proteggere i regali che madre natura ci ha fatto. Chi avrà bisogno del nostro aiuto, ci troverà ai bordi dei ruscelli, nelle grotte basiliane nei pressi del castello, ai bordi delle cascate naturali presenti in questa zona, oppure sulla via degli eremi, dove i viandanti chiedono riparo. Sai, piccola mia, ti ho sentita piangere e sono arrivata, le fate, come le madri, fanno questo, corrono in aiuto delle loro figlie, e tu potresti esserlo. Poi Gelsomina mi disse di continuare a camminare, riprendendo il racconto sulle creature che abitavano quei luoghi, ma prima di farlo, siccome faceva freddo, si tolse dalle sue spalle una bellissima stola di lana, e la mise su di me, avvolgendomi e facendomi sentire un intenso calore. La ringraziai e lei mi raccontò che la stola, proveniva da Soveria Mannelli, luogo rinomato per i tessuti, come la lana, infatti, le era stata donata da una donna, che lavorava nell’ultimo lanificio rimasto, il lanificio Leo. Era morbidissima ed allo stesso tempo calda ed accogliente, come un abbraccio. Gelsomina continuò a parlare: Sai, piccola Alba, la natura dona senza chiedere nulla in cambio, se non il rispetto di essa, di ciò che possiede. Così, ad esempio, le api, con il loro laborioso lavoro, regalano il miele all’apicoltore che saprà prendersene cura, qui, in questa zona, ne puoi trovare di buonissimo, come in tutta la Calabria. E’ uno scambio il nostro, tra la terra e gli esseri umani, ma non tutti riescono a comprenderlo. La vita è un viaggio, mia cara, ogni essere compie immensi giri prima di ritornare a casa. Alcuni partono per terre lontane, alla ricerca di fortuna, ritornando qui di tanto in tanto, respirando l’aria che ancora, riempie i loro polmoni.
Sai, proseguì Gelsomina, quando il cacciatore varcò le colonne del bosco, gli alberi più alti, vide la principessa Dafne, figlia del re dei lupi e della regina delle fate. Il cacciatore le si avvicinò, notando i suoi lineamenti dolci ma selvaggi, unione di due nature, quella del lupo, fiera e maestosa e delle fate, docili ma severe. Iniziarono a parlare, lui sembrava una brava persona, le chiese di seguirlo a casa sua, perché poteva donarle dei tesori incredibili. Ma Dafne non era interessata agli averi degli uomini, fatti di potere e oro, cercava l’unico gioiello capace di arricchire davvero, ovvero l’amore. Così il cacciatore, sentiva che l’avrebbe persa se non le avesse detto qualcosa di speciale, e le confidò di essersi innamorato perdutamente di lei, della sua bellezza senza pari, che era l’unica fanciulla in grado di avergli fatto battere davvero il cuore. Dafne iniziò a fidarsi, credendo che le parole, potessero essere considerate allo stesso modo dei fatti. Per giorni il cacciatore le fece visita, sperando che, prima o poi, Dafne cedesse al suo fascino. Nel frattempo, il cacciatore, le aveva detto di non parlare con nessuno del loro rapporto, perché la gente sarebbe stata invidiosa e non avrebbe capito. Dafne, rapita dal corteggiamento, esaudì la richiesta del cacciatore, non confidandosi con le sue amiche fate, anche se queste ultime, avevano notato un cambiamento nel suo comportamento, nel suo umore. Infatti un giorno, la sua migliore amica, Serena, principessa delle farfalle, le chiese come mai, ogni tanto, si allontanasse per ore.
Dafne, che aveva promesso al cacciatore di non dire nulla, iniziò a mentire, raccontando delle bugie alla sua migliore amica, ovvero che era alla ricerca di fiori rari, da regalare a sua madre, in quanto, di li a poco, ci sarebbe stato il suo compleanno. Serena, che era sua amica da quando erano poco più che bambine, sapeva bene se Dafne diceva o meno la verità. Era stata sempre sincera con tutti e quel cambiamento di comportamento la insospettì. Così ne parlò prima con i suoi amici del bosco, il gufo saggio e le lucciole delle alte rocce, poi giunsero le sorelle api, seguite dalle falene dei cespugli di pungitopo, ed in fine, il cervo da un solo corno, che ne aveva viste tante e non si fidava dei cacciatori. Si diedero appuntamento nei pressi del mulino delle fate, che di sera, lontano da occhi umani, veniva usato dalle creature del bosco, per svolgere le loro riunioni. Serena raccontò loro dell’accaduto e tutti, concordarono che c’era qualcosa di strano e poco chiaro, così decisero di seguirla a turno, per capire quale fosse il problema di Dafne, questo fanno gli amici, e loro lo erano sempre stati.
Trascorse un mese ed il cacciatore, continuava a corteggiare Dafne, incontrandola di nascosto vicino al vecchio mulino, luogo poco frequentato dagli esseri umani, ma soprattutto isolato. Il cacciatore iniziava a stufarsi del fatto che Dafne non voleva dargli un bacio, così le fece un ricatto, iniziando con il dirle che “solo i bambini si comportavano in quel modo e che i grandi, fanno cose da grandi” quindi lei, da fata adulta, doveva, per non dimostrare di essere una bambina, dargli un bacio. Dafne però, non riusciva a capire il rapporto che la legava al cacciatore, pensava di volergli bene, che lui le volesse bene, e voleva, anche se contro voglia, fare ciò che diceva. Ma mentre era intenta a pensare, il cacciatore disse: “hai tempo fino a domani, se non mi darai un bacio, non verrò mai più a trovarti” e andò via, lasciando Dafne in lacrime. Fra i rami degli alberi e nascosti fra i cespugli, i suoi amici avevano assistito alla scena, ed anche il cervo con un solo corno era sbalordito. Serena era furiosa, arrabbiata, non con Dafne, ma con il cacciatore, perché per ottenere ciò che voleva, era disposto a ricattare la sua migliore amica, minacciandola. Dafne asciugò le lacrime e tornò a casa, dove la madre notò che aveva pianto. Ma anche in quel caso Dafne negò, dicendo che era inciampata, mettendosi a piangere dal dolore. La madre però, non vedeva segni di caduta, ed insistette, dicendo a Dafne che poteva dirle tutto, in fondo era sua madre, l’aveva partorita lei e quel legame, non si sarebbe mai spezzato. Dafne temeva di tradire la fiducia del cacciatore e non disse nulla alla sua amata madre, che però abbracciò, con uno di quegli abbracci che non hanno bisogno di parole. Quel segno, fu illuminate per sua madre, poiché le fece comprendere che qualcosa non andava. Il giorno seguente, Dafne aveva deciso cosa fare, e si presentò all’appuntamento con il cacciatore. Lo vide appoggiato ad una roccia, intento a pulire il suo fucile. “Hai deciso” le disse con tono di sfida? Dafne, che non voleva rinunciare al suo modo di essere, gli rispose che aveva bisogno di tempo, che non voleva fare qualcosa per la quale non era sicura. Così il cacciatore fece un fischio, e dai cespugli, sopraggiunsero altri cacciatori, erano in quattro, con una maschera sul volto, suoi amici. “E’ lei” chiese uno di loro? “ci divertiremo oggi” rispose un altro. L’accerchiarono, ed il cacciatore disse a Dafne: “è colpa tua, adesso pagherai le conseguenze del tuo affronto, sei solo una mezza fata, e noi siamo in cinque”. Da dietro la ruota del mulino, spuntò Serena, che rispose: “per il momento siete in cinque” e ad un tratto, dal terreno, le radici avvolsero i cacciatori, bloccandoli completamente. Poi arrivarono le api, che iniziarono a ronzare intorno ai cacciatori impauriti, e gli istrici, pronti a scagliare i propri aculei. Giunse il cervo con un corno solo e tutte le creature che popolavano quel luogo incontaminato, accerchiando i 5 cacciatori, ormai prigionieri e impossibilitati a muoversi.
In fine, dal bosco, arrivarono anche i genitori di Dafne, la regina delle fate e suo padre, il lupo. “Madre” esclamò Dafne fra le lacrime, “avrei voluto dirtelo, ma avevo paura”. “Figlia mia” rispose la regina, sono tua madre, non temere mai di dirmi qualcosa, qualunque cosa, perché insieme, possiamo tutto, siamo la tua famiglia, il bosco è la tua famiglia e come vedi, è qui per te. Il lupo iniziò a ringhiare contro i cacciatori, che adesso erano indifesi, non più spacconi e violenti, ma se la facevano sotto dalla paura. Serena si avvicinò a Dafne, l’abbracciò e poi le disse: “amica mia, ricordati che noi ci saremo sempre, che nessuno potrà mai farti sentire sbagliata, tu hai noi e noi abbiamo te, dobbiamo essere forti, anche quando tutto sembra perduto, è lì che sopraggiunge la speranza”. “Cosa vuoi fare di loro” chiese la regina delle fate a Dafne, “meritano una punizione”. Dafne aveva la forza di un lupo e la magia delle fate, così, avvicinandosi ai suoi aguzzini, tolse loro le maschere, li guardò negli occhi, sfidandoli. Poi, conoscendo il proprio valore, spesso sottovalutato da alcuni uomini, scelse.
Tornate alle vostre case, disse Dafne, ma sappiate una cosa, ovunque andrete, ricordate, io non sono sola, perché insieme alla mia famiglia, ai miei amici, siamo la voce che squarcia il silenzio, la testa che si alza quando è calpestata, siamo un usignolo ed uno stormo di corvi, essere forti, proseguì, non vuol dire usare quella forza per fare violenza al prossimo, ma essere consapevoli che, ci sarà sempre qualcuno più forte di voi. Per anni, hanno detto che il lupo, mio padre, era cattivo, ma era una favola, raccontata da voi cacciatori, eppure siete voi e solo voi ad uccidere, umiliare, distruggere la nostra casa, il bosco, la natura che vi circonda e come una madre, vi dona tutto il suo amore. E di mia madre, la regina delle fate, siccome è una donna, l’avete sempre considerata un essere inferiore, più debole, poiché avete osservato solo il suo aspetto esterno e non la sua anima, capace di brillare, e di compiere qualsiasi cosa. Quindi andate via, lontano da questi luoghi di armonia, nei quali qualunque creatura è la benvenuta. Con un gesto della mano, Dafne, fece ritirare le radici che imprigionavano i cacciatori, lasciandoli fuggire di corsa, poiché a quel punto, temevano di ritornare nel bosco, per paura che il lupo, la regina, Dafne ed i suoi amici, potessero non essere più tanto clementi. Prima di farlo però, il cacciatore che aveva ingannato Dafne, si voltò indietro, rendendosi conto di ciò che aveva fatto, ma ormai era troppo tardi, perché cedendo ai propri istinti, aveva barattato l’amore per qualcosa che non merita di essere nominato.
Da allora, i cacciatori, raccontano che il lupo è cattivo, le fate ingannano gli uomini e gli animali sono inferiori rispetto al genere umano. Eppure non si sono più addentrati qui, disse Gelsomina, perché temono la verità, credendo che, con la violenza e la prepotenza, possano tramandare qualcosa di buono. Sei arrivata, piccola Alba, al di là di quelle rocce, c’è casa tua, disse accarezzando il lupo. Posso chiederti una cosa, le chiese Alba con un po’ di esitazione, come si chiamava la regina delle fate, questo non me lo hai detto. Si chiama Gelsomina, rispose. Come te? Esattamente come me, e tu mi ricordi la mia bellissima Dafne, che adesso è una scrittrice di racconti e favole, non si è fatta vincere dalla disperazione, ma insieme alle sue sorelle, diffonde la speranza, la forza, che ognuno di noi ha dentro di se, quella di compiere gesti buoni, atti di pietà, anche nei confronti di chi non ci comprende. “Salutiamoci, è ora” disse Gelsomina. Alba allora esclamò: “la principessa sei tu ed il lupo è tuo marito? Ma quando si voltò, non c’erano già più. Da quel giorno, tutte le volte che Alba passava dal bosco, sperava sempre di vedere il lupo, Gelsomina o Dafne. Il racconto terminò e la nonna disse ai bambini che con l’età, una cosa le appariva chiara, una cosa sola. I bambini chiesero cosa fosse, questo segreto che, la nonnina, custodiva con se da tempo. Non nasciamo né buoni né cattivi, rispose, possiamo sempre scegliere se fare cose giuste o sbagliate, se essere il cambiamento positivo, che vorremmo vedere nel mondo, oppure semplici spettatori. Sapete, bambini, voi avete il potere di immaginare ogni cosa, quindi immaginate cose belle, fatele accadere e non dimenticate, non dimenticatelo mai, non siete soli. Mentre i bambini ritornavano alle loro case, la nonna rientrò nella sua, che non aveva mai lasciato i tutti i suoi anni, ed avvicinandosi alla finestra, guardò fuori, dove gli alberi sembravano fare da cornice ad un quadro senza tempo. Sospirò, ricordando con la mente, Gelsomina, Dafne ed il lupo. Ad un tratto si aprì la finestra, comparve Serena, la migliore amica di Dafne, che rivolgendosi alla nonna disse: “Alba, ti va di venire con me, il mondo ha bisogno ancora di favole e tu di raccontarle”. Così scomparvero, avvolte da un cielo stellato e dalla luna che custodisce i segreti più veri, ma questa è un’altra storia, un altro lieto fine, poiché se lo si desidera ardentemente, niente è impossibile.
RICCARDO CRISTIANO