Fiore Isabella
7 gennaio 2018
Fiore Isabella

News Lamezia e lametino

Lamezia Terme: una signora di mezza età cui hanno stravolto i connotati


Come ex consigliere comunale di Lamezia Terme ho ritenuto opportuno osservare un decoroso silenzio, per rispetto dell’impegno di chi ha creduto di fare diversamente, spendendo tempo e passione nell’organizzazione della festa dei cinquant’anni di vita della città della piana.

L’ho fatto, quindi, non perché non avessi nulla da dire, tutt’altro, ma forse perché a sessantasei anni, quasi suonati, ancora, come mi descrive l’amico Ciccio Caligiuri nel suo libro Nella misura in cui, sono troppo bambino per parlare di politica, che è notoriamente una cosa da grandi.

Detto questo, dal mio piccolo e a microfoni spenti e a serrande abbassate, propongo qualche spunto di riflessione, che in qualche modo, per me, è anche una sommessa dichiarazione d’amore alla mia città. Una città, negli anni, fortemente mutata, per non dire stravolta, nei suoi assetti socio-economici e urbanistici.

Una signora di mezza età ringiovanita col fondo tinta di un’avvenente pulzella, figlia legittima di tre centri che a tutto pensavano meno che ad un erede così combinata; orfana di ogni traccia di quell’antico candore che le mamme di una volta intravedevano nel volto pulito delle proprie figlie, accarezzato soltanto dagli effetti idratanti dell’acqua e sapone.

Istituzionalmente nata dalla combinazione di tre centri che tra di loro avevano poco in comune se non la ferrovia che li attraversava, questa città, forse, avrebbe avuto bisogno soltanto di qualche ritocco, magari con la matita e l’ombretto per nascondere le occhiaie, ma certamente non il devastante intervento di chirurgia estetica che ne ha deturpato, in modo irreversibile, gli originari connotati.

Alcuni esempi: le vecchie cantine sociali di Sambiase, che dovevano diventare strutture produttive e non semplici spazi di conferimento, sono oggi ammassi di ferro vecchio.

Così come i contadini, parcheggiati, per decenni, in lunghe file per conferire il frutto delle loro fatiche, hanno lasciato il loro campo alla devastazione della piccola proprietà contadina e, in dote ai propri figli, al posto delle vigne e degli ulivi, una pista per volare più in fretta verso mete lontane che li lasciano ancora sognare.

Un sogno diverso da quello raccontato, nei primi anni Ottanta del secolo scorso, da alcuni parlamentari calabresi al ministero del Commercio con l’estero, poi regolarmente svanito, che vedevano già gli abituali e mattinieri consumatori di vodka di Mosca e di Kiev prediligere un bicchiere di vino Doc della Piana lametina.

Né sorte migliore hanno avuto i piccoli esercizi commerciali dei sedotti e abbandonati centri storici, oggi trasformati, negli annuali periodi di Natale, in provvisori presepi viventi.

Una piccola concessione al concetto di «piccolo e grazioso» nel mentre si va speditamente verso tutto ciò che è «grande e accattivante»: centri commerciali e grandi cattedrali (mi si perdoni l’incongruo accostamento) sono il termometro di un graduale allontanamento dalla dimensione profetica della sobrietà che due mila anni fa portò il messia a nascere in una stalla e non in una signorile dimora.

Diversamente da ogni segno profetico, la signora di mezza età è stata chiaramente esposta, per cinquantanni, ad un empirico bombardamento cosmetico, con protagonisti la politica del piccolo cabotaggio e gli onnipresenti estetisti del malaffare (le mafie) che ne hanno stravolto irrimediabilmente i connotati.

Rispetto al peso rilevante del combinato disposto politica/affari, che ne ha azzerato il sogno, Lamezia Terme non è stata sfortunata, se per sfortuna s’intende una condizione imprevista, casuale o una sorta di catastrofe naturale indipendente dalla volontà degli uomini. La città di Lamezia Terme è stata solamente maltrattata.
Fiore Isabella
già consigliere comunale del PCI


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