di Francesco Polopoli
Non parlo di “Wilson lo zuccone” di Mark Twain o del soprannome della statua di Donatello, il “Profeta Abacuc”, o ancora della zucchificazione satirica di Lucio Anneo Seneca: sarebbe troppo onore letterario! Alla luce di tante zucche mi viene da fare solo qualche riflessione: nient’altro più! Mi pare che siano in tanti a cercare un “ubi consistam” e a convincersi addirittura di averlo trovato nell’ambito claustrale delle proprie limitazioni: senti gettare a caso parole prive di senso e direzione, udendole ammantate di becere ovvietà o di falsificazioni filologicamente infondate.
Soffocati da gineprai di citazioni insipienti, si fa finta di ascoltare, trattenendo la liberatoria tentazione di smascherare la protervia di zucconi, votati a professionisti con tanto di stemmi e blasoni, e già! Come un novello Belluca conquisto la mia dose di quotidiana salvezza trasumanando in un silenzio taumaturgico, che è inappariscente quanto inespugnabile.
Dicono che la lingua più diffusa al mondo sia quella a vanvera: io preferisco pensarla alla romana dicendo Vasa inania multum strepunt, ‹‹i vasi vuoti fanno un grande rumore››, che è come dire, stravolgendolo nel senso più intimo: più sono vuoti e meno fanno rumore, pur facendone tanto. Il paradosso, si può obiettare, è che non sono pochi o che per giunta il loro patrono, Paperon de’Paperoni, dispensa loro pure un bel gruzzolo di soldi, in soldoni! Ma se tanto mi dà tanto, progetti come questi li impagineremo molto presto in dei simpatici fumetti! Non è giusto, difatti, che la vox populi si limiti ai Drive in per i crocicchi…