di Gianlorenzo Franzì
Una nuova onda ha travolto il Teatro Politeama di Catanzaro, perché è dal settembre 2024 che Antonietta Santacroce e Settimio Pisano sono infatti rispettivamente la nuova sovrintendente e il nuovo direttore generale, come stabilito dal CdA dell’istituzione culturale del capoluogo calabrese.
Nuove e importanti sono allora le suggestioni e le spinte artistiche che promuovono le attività della Fondazione, ma d’altronde le due nomine non sono casuali: Santacroce è pianista e cembalista, concertista, manager culturale, ideatrice e direttore artistico del Festival d’Autunno dal 2003, mentre Pisano opera nel campo del teatro e delle arti performative da oltre venticinque anni, premio UBU (il più importante riconoscimento di teatro in Italia, fondato nel 1977 da Franco Quadri) come miglior curatore/organizzatore italiano.
Morricone dirige Morricone
Era quindi facile prevedere un rinnovamento all’insegna della grande arte che potesse anche nutrirsi di contaminazioni, strategia vincente che nel mese di gennaio 2025 ha portato il concerto-tributo “Morricone dirige Morricone” al Politeama per inaugurare la stagione di Musica & Cinema: un momento straordinario nel quale il Maestro Andrea Morricone, figlio di uno dei geni indiscussi dell’arte italiana, Ennio Morricone, ha diretto il 18 gennaio l’Orchestra Roma Sinfonietta, un organico di 32 elementi e solisti, in una scaletta che ha reso omaggio ad alcune delle musiche più famose prodotte per il cinema dal Premio Oscar.
Ma nell’ottiche di quelle contaminazioni e suggestioni nuove, con Morricone dirige Morricone Santacroce e Pisano hanno aperto le porte del Politeama arrivando fino al Nuovo Supercinema di Catanzaro, faro di resistenza e cultura cinematografica in pieno centro città, dove si è svolta una mini retrospettiva dedicata al legame imprescindibile proprio tra cinema e musica, offrendo la visione su grande schermo di tre capolavori (introdotti al pubblico con un taglio critico e specialistico) come Il Buono, Il Brutto e il Cattivo, C’Era Una Volta il West e C’Era Una Volta In America, diretti da Sergio Leone e musicati proprio da Morricone.
Colonna sonora, colonna portante
La colonna sonora viene chiamata così perché il sonoro era registrato otticamente sulla pellicola cinematografica in senso longitudinale di scorrimento, in quella famosa area delimitata e verticale appunto come una colonna. Oggi è esteso a qualunque opera composta da immagini e suoni, ma rimane il fatto che il suono (inteso come musica e parole ed effetti sonori) è una parte fondamentale -colonna portante…- di un film, inscindibile dalle immagini.
E quale binomio può esprimere meglio l’imprescindibilità di questo legame se non quello composto da Leone ed Morricone? È Per Un Pugno di Dollari, del 1964, a dare inizio ad uno dei più celebri sodalizi della storia del cinema: con il regista che diceva al musicista: “a me la musica non piace, io vivo nel silenzio, ma il pubblico si annoierebbe a guardare un film di due ore fatto di silenzi, c’è bisogno di un sottofondo musicale. Ma mi raccomando: sii cauto, poca roba che non disturbi”.
Con Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo, del 1967, Leone chiude la trilogia del dollaro: ed è un film dà la vera svolta alla incredibile collaborazione dei due geni, basata su una notevole, intensa, comune volontà, ma anche capacità, di mischiare l’alto con il basso. Cose evidentissime nel film e nelle sue musiche più famose, con quel tema principale che parte dell’ululato di un coyote e si adatta ai tre protagonisti: un tema che gioca con due note, sempre uguali, ma ricreate da uno strumento diverso per ogni personaggio, un flauto per il Buono, un arghilofono per il cattivo e una voce umana per il brutto, e che è stato definito dal Washington Post «uno dei suono più riconoscibili nella storia del cinema». C’è poi il famoso “stallo alla messicana”, accompagnato dall’altrettanto celebre brano Il Triello, che tra l’altro contiene alcuni riferimenti alla colonna sonora di Per qualche dollaro in più. Si racconta che nel chiedere a Morricone la musica per questa scena, Leone disse di comporre “come se i cadaveri stessero ridendo dalle tombe”. Come diverse altre volte nel cinema di Leone, non parla nessuno per diversi minuti, perché a raccontare tutto quel che serve raccontare bastano facce, inquadrature e musica.
Trilogie a confronto
Come Per Un Pugno di Dollari (1964), Il Buono, Il Brutto e il Cattivo (1965) e Per Qualche Dollaro in Più (1966) sono legati nella Trilogia del Dollaro, il trittico successivo (formato da C’Era Una Volta il West del 1968, Giù La Testa del 1971, e C’Era Una Volta In America del 1984) è invece noto come la Trilogia del Tempo. Se il secondo capitolo avrebbe dovuto intitolarsi C’Era Una Volta la Rivoluzione -ma i produttori americani volevano più western per un regista noto oltreoceano per le sue cavalcate nella Frontiera-, gli altri due iniziano e finiscono un trittico che è la summa del pensiero di Leone e il progressivo allontanamento dal genere spaghetti western.
Perché Leone, come tutti i grandi autori, vestiva il genere per declinare la sua visione del mondo, ma anche per ridefinire i codici linguistici del cinema.
La grandezza di Sergio Leone è quella di mettere un punto e andare a capo, rielaborare tutto quello che c’è stato prima di lui, decostruirlo e rassembrarlo in nuove forme con nuovi o ulteriori significati.
Si può fare un paragone: in 2001 Odissea nello Spazio c’è una scena che è rimasta celebre, e addirittura studiata sui libri come esempio di montaggio analogico. Ovvero quella dell’osso-clava che diventa astronave, che simboleggia l’inizio di un progresso che ha portato sena soluzione di continuità, a quell’oggetto sofisticato e fantascientifico che è appunto l’astronave.
Nell’ennesimo capolavoro di Leone c’è anche uno straordinario momento di montaggio, ovvero una pistola a canna lunga del bandito Frank che si appresta a far uscire il colpo che ucciderà un bambino innocente e indifeso, ultimo a cadere di un’intera famiglia sterminata. Ma invece l’immagine della pallottola diventa quella di una locomotiva, che se fosse proprio la locomotiva o meglio quello che la locomotiva rappresenta, ad essere sparata dal fumo della pistola al posto del proiettile.
E allora è questa immagine che dà il senso al film, e di un genere classico del cinema nonché della concezione di Sergio Leone dell’America, ovvero quella di un paese che si è costruito unificando un territorio sterminato e dai paesaggi immensi, completando una rete ferroviaria, nello spirito di una nuova frontiera, e con l’iniziativa privata ma anche con la violenza delle pistole.
E se in C’Era Una Volta in America la collocazione temporale cambiava, fissandosi nell’America del proibizionismo, non cambiava il sottotesto: un paese che continua a progredire sulla violenza e sulla sopraffazione, un progresso che in maniera speculare alle sue origini (nell’Old west) non poteva che far regredire l’uomo.
Nella sua brevissima ma intensa filmografia, Sergio Leone ha messo in scena universo amorali governati dalla legge della pura sopravvivenza dove predominano eroi solitari: universi che lui ritrova prima nel selvaggio West e poi nell’America dei gangster – e che probabilmente avrebbe rivisto nel film sui novecento giorni dell’assedio di Leningrado mai realizzato (perché è stato in una conferenza stampa a Mosca, nel 1988 ovvero un anno prima di morire, che aveva annunciato un accordo di coproduzione tra la Rai e il Comitato Scientifico dell’URSS, firmato sulla fiducia perché ancora non esisteva ancora una sceneggiatura, ma che avrebbe raccontato una storia d’amore tra due persone provenienti da due terre diverse, quella tra un cineoperatore americano e una ragazza russa che il destino fa incontrare nei primi giorni).
La musica al servizio delle immagini, le immagini create sulla musica
Nel film del ‘68, in un pugno di note e intuizioni fulminanti Morricone racchiude l’eternità del Far West, svelando al mondo un’attitudine poetica che trasfigura la violenza della realtà e dei paesaggi in un sublime, immaginifico tessuto sonoro.
D’altro canto, il leitmotiv di C’era una volta in America è consegnato all’armonica di Cockney: quelle poche note, nelle variazioni morriconiane, ci raccontano il tempo di un’innocenza perduta che fino a quel momento era solo giovanile incoscienza. Al contrario degli onirici flashback di Giù la testa!, introdotti dal famoso brano Scion Scion, il meccanismo di emersione dei ricordi va per continue associazioni mentali e ridisegna la mappatura esistenziale del protagonista. È insomma un legame indissolubile, dove la sottolineatura musicale spiega l’immagine, e l’immagine mette in scena il suono.
Di questo se ne accorse, tra gli altri, anche Stanley Kubrick che dopo aver visto C’era una volta il West telefonò a Leone e gli chiese come avesse fatto a girare una delle scene più famose di quel film, con quella perfetta sintonia e sincronia tra suoni e immagini.
Leone rispose, semplicemente, di aver mosso la cinepresa seguendo il crescendo della musica, suonata sul set.