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27 aprile 2020

BLOG-le firme di Reportage

CARTOLINE di Daniela Grandinetti: «La scuola ai tempi della Dad»


Una cartolina per dire grazie a tutti gli insegnanti d’Italia per lo sforzo compiuto in questo momento difficile.

Lo abbiamo imparato tutti questo acronimo, Dad: didattica a distanza. Chi l’avrebbe mai detto che da un giorno all’altro saremmo stati catapultati da aule scolastiche intrise di odori di adolescenti e umori quotidiani variabili all’unicità dello schermo.

Ci siamo dovuti attrezzare, a nostre spese, studenti e docenti, e si è compiuto un piccolo miracolo: ho visto insegnanti che a mala pena usavano WhatsApp o sapevano inviare una mail (magari non più giovanissimi), utilizzare in poco tempo piattaforme e video lezioni. Magari non saremo diventati esperti di tecniche e modalità di didattica a distanza, lo abbiamo fatto senza alcuna formazione, ma abbiamo messo in moto una macchina in tempi rapidissimi, pochi giorni. Di questo credo vada dato atto alla classe docente, forse la più bistratta d’Italia, con i luoghi comuni che continuamente gettati sulle spalle di milioni di professionisti ai quali si affida l’educazione dei figli, dei giovani, in definitiva, la fisionomia del futuro.

#lascuolanonsiferma, l’hashtag che ha contraddistinto la campagna per una scuola che è andata avanti in tempi di isolamento e distanziamento sociale, con luci e ombre: una parte di osservatori che ha visto in questo una piccola rivoluzione e un’esperienza da tesaurizzare per il futuro e altri più scettici.
Io sono un’insegnante, non sono digiuna di tecnologia, non ho fatto grandi sforzi a imparare come coinvolgere gli studenti perché “parlo” il loro linguaggio. Mi è capitato spesso di dire ai miei studenti: “vedete, io con la mia formazione posso arrivare a usare i vostri mezzi, ma voi chiudendovi in quella protesi irrinunciabile che avete sempre a portata di mano, non potrete forse mai recuperare quello che vi perdete.”
L’esaltazione della tecnologia: bisogna fare attenzione, è un marchingegno da maneggiare con cura e se a mala pena gli adulti possono farlo con senso critico, figuriamoci gli adolescenti.
La generazione Z, come viene chiamata quella della quale fanno parte adolescenti da 8 a 25 anni circa, è ormai tutta concentrata su Instagram e You Tube, è un dato statistico che dovrebbe far riflettere: sono social dove contano le immagini, la comunicazione verbale è ridotta al minimo, esaltano il narcisismo digitale, fenomeno, quest’ultimo, non trascurabile. Ci sono ragazzi che sognano di diventare Influencer e/o youtuber, con il miraggio dei soldi facili al minimo sforzo.
Quel che è peggio, sono all’oscuro di essere sottoposti ad algoritmi persuasivi che creano dipendenza.
Di contro sappiamo che il loro patrimonio lessicale è povero, che la capacità di leggere ed elaborare è minima, così come quella di leggere una poesia e interpretarla è quasi inesistente, mancano di senso dell’astrazione, di lettura della realtà attraverso i simboli, la sensibilità è progressivamente ridotta e la solitudine, con quel che ne consegue, in aumento.
Dunque bisogna stare attenti: se abbiamo fatto fronte all’emergenza, armati di senso di responsabilità, non possiamo dimenticarci che la Dad ha evidenziato (e rischia di creare una frattura) le distanze sociali, perché chi ha mezzi e/o una famiglia alle spalle in grado di seguire i propri figli è stato ed è in condizioni molto diverse da chi non ha tutto questo, e sono molti.
Abbiamo cercato di includere, le scuole per quanto è possibile hanno dato mezzi in comodato d’uso, ma i limiti ci sono e sono tanti.
Ne cito alcuni:
– quelli che demotivati e svogliati avevano abbandonato e sono ricomparsi, perché quest’anno una promozione non si nega a nessuno, la furbizia alla fine premia e noi saremo impotenti

– quelli che hanno difficoltà ad esprimersi a scuola, e in una classe virtuale hanno ancora più timore di esporsi, non hanno un buon rapporto con la propria immagine e la propria voce (nel mio caso, ad esempio, registro che le telecamere sono per lo più spente, spesso anche i microfoni, “non funziona” ti dicono, e tu non puoi farci niente, non puoi sapere se è vero o se stanno mentendo)
– il fatto, ultimo, ma non meno importante, che alla fine, al di là della retorica, ai ragazzi potrebbe perfino piacere che questa fosse la scuola: in fondo i loro rapporti, la loro socializzazione è ormai ridotta al minimo, passa dai social più che dai rapporti diretti, non hanno avvertito quel senso di isolamento e di timore che ha investito il mondo degli adulti. È una grande videogioco nel quale a volte si sentono più forti, perché giocano sul loro terreno.

In definiva il sistema che è nato da questa corsa è piano di buchi, dovuti in parte allo squilibrio nelle possibilità di accesso alle risorse.
Ci siamo concentrati, nell’emergenza, sulle forme di didattica online, gli strumenti, le piattaforme, etc. e rischiamo di dimenticarci delle persone, che permettono di costruire rapporti senza i quali la didattica è impossibile.
L’insegnamento è innanzi tutto una relazione di corpi, di sguardi, di flussi di energia, oltre che di parole. E questo non potrà mai essere sostituito, con buona pace di chi pensa che la DAD potrà perfino essere la scuola del futuro.
La tecnologia è un mezzo, l’essere umano, nella sua complessità, è al centro dell’azione didattica: da questo assunto difficilmente, mi auguro, potremo spostarci.

Un’ultima cosa: come per la sanità pubblica, le cui lacune di questi tempi hanno portato alla luce disastri con l’impoverimento delle risorse, così è per la scuola che dev’essere pubblica e per tutti.
Pensiamo cosa sarebbe stato senza: la scuola è ciò che permette la coesione sociale.
Teniamolo ben presente, in futuro.

Daniela Grandinetti


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