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Quando Catanzaro era la «Città della seta»


L’arte della seta conobbe da tempi antichi periodi di grande splendore in Calabria, quando in molti territori erano diffusi la coltivazione dei gelsi e l’allevamento del baco da seta, dal carattere femminile e familiare, e quindi la tessitura dei preziosi filati, che ebbe il suo centro a Catanzaro. Secondo un’affascinante ipotesi il nome attuale della città proviene addirittura dal termine greco Katartarioi, ovvero filatori di seta. Il primo documento certo sull’arte della seta in Calabria data 1050: è un rogito notarile citato dallo storico francese Andrè Guillou in cui si legge che fra i beni della Curia reggina figura un campo di migliaia di gelsi.

Il primo prototipo di telaio fu realizzato nella seconda metà del Quattrocento da un tessitore catanzarese, noto come Jean le Calabrais, Giovanni il Calabrese, a Lione in Francia, dove era stato invitato da Luigi XI che aveva intenzione di impiantare in loco un’industria di manifattura tessile. Un esemplare del telaio, all’epoca un po’ boicottato dal mondo dei tessitori francesi in quanto si temeva che potesse far perdere posti di lavoro, è custodito oggi nel Museo delle arti e dei mestieri a Parigi.

Nel 1519, otto anni prima di Firenze, furono pubblicati gli Statuti dell’Arte della seta di Catanzaro, la prima raccolta delle norme tecniche e amministrative per le aziende seriche, tuttora conservata presso la Camera di Commercio. Catanzaro presto divenne «Città della seta». Ancora oggi rimangono le tracce degli antichi splendori in tutte le chiese del posto, dove si possono ammirare ancora i preziosi manufatti, e nei toponimi cittadini: Via Gelso Bianco, Via Filanda, Vico delle Onde.

Si narra che il mistero della bachicoltura fu rivelato in Europa da due monaci basiliani che l’avevano appresa in Cina e anche che il re normanno Ruggero II, tornando da una spedizione ad Atene, avesse portato con sé dei prigionieri esperti nell’arte della seta i quali la insegnarono ai Siciliani. Un grande impulso alla sua diffusione fu data in Sicilia e in Calabria anche dagli ebrei che però, accusati dai Genovesi e dai Lucchesi di monopolizzare sia la produzione che il commercio della seta, ne furono cacciati nel 1511 con ordinanza del re Ferdinando di Spagna. Probabilmente in epoca normanna proprio dalla Sicilia l’arte della seta si diffuse anche in Calabria e Catanzaro ne divenne la regina incontrastata per lungo tempo.

Nel Settecento, periodo del suo massimo sviluppo, a Catanzaro si contavano ben settemila setaioli e mille telai e si produceva grande quantità di tessuto damascato, così chiamato perché diffuso da Damasco in Siria e lo stesso baco in dialetto catanzarese veniva e viene chiamato sirico, ad indicare la provenienza dalla Siria. Per merito dei Normanni e degli Svevi, in particolare dell’imperatore di Svevia Federico II, grande promotore di quest’arte, le produzioni seriche calabresi in particolare varcarono anche i confini nazionali raggiungendo il resto d’Europa.

Grazie a questi intensi scambi commerciali, i tessuti in seta calabresi dai motivi orientali si arricchirono di altri disegni ispirati all’arte rinascimentale fiorentina e veneziana e così i velluti e le organze, i broccati e i damaschi catanzaresi invasero le corti e i luoghi più importanti di ogni paese. Nell’Ottocento l’arte della seta in Calabria, sia per i balzelli imposti sulla produzione sia per la concorrenza di altre produzioni, iniziò la sua lunga e inesorabile decadenza.
Annamaria Persico


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