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8 febbraio 2024

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Agricoltura, Mamone (Unsic): «Giuste le richieste economiche, ma al Sud va salvaguardato il primato della qualità»


Bene il dietrofront della Commissione europea sull’uso degli agrofarmaci, legittime le richieste di riduzione dell’Irpef, di agevolazioni fiscali sul gasolio o della cancellazione del 4% dei campi incolti per un settore agricolo sempre meno redditizio e a rischio di tenuta occupazionale. Proficuo sarebbe il rafforzamento del ruolo dei Centri di assistenza agricola e degli organismi di consulenza aziendale o l’incentivo per la diffusione di mezzi agricoli a trazione elettrica e l’uso delle rinnovabili. Tuttavia, al di là delle sacrosante rivendicazioni del momento, c’è un elemento primario che differenzia le produzioni italiane – e in particolare del nostro Sud – rispetto alle merci dell’agribusiness globalizzato, omologante e intensivo: la qualità. Se la concorrenza andrà al ribasso, non ci sarà futuro per il nostro settore. E ciò investe principalmente il Mezzogiorno, possibile terreno di conquista da parte delle multinazionali: cioè c’è una ‘questione meridionale’ che non può essere ignorata nella lista dei problemi”.

Così Domenico Mamone, presidente dell’Unsic, sindacato datoriale di imprenditori e coltivatori.

C’è una linea di demarcazione tra chi, anche a livello di rappresentanza del comparto, sta dalla parte delle multinazionali o di quelle aziende della grande distribuzione che importano prodotti estranei ai requisiti sanitari e ambientali del nostro Paese e fanno cartello e speculazione sul prezzo, e chi si batte perché i fondi europei non finiscano nelle tasche di coloro che intendono annientare proprio le nostre produzioni locali, ad iniziare da quelle del Mezzogiorno – continua il numero uno dell’Unsicorganizzazione che ha inviato un articolato documento sulla materia ai rappresentanti del governo.

“Nelle lotte di questi giorni, i coltivatori dell’Unsic inseriscono anche la salvaguardia dell’agricoltura e della zootecnia sane e tradizionali, che non significa chiudersi a riccio verso l’evoluzione tecnologica o scientifica, ma rifiutare le logiche unicamente quantitative che impone un mercato distorto, con complicità politiche a Bruxelles. Il nostro Mezzogiorno, che ha molto da insegnare a tutti sulla qualità, necessita principalmente di attenzioni, di fondi ben canalizzati, di valorizzazione delle eccellenze. Non dimentichiamo che le regioni italiane con più aziende agricole sono la Puglia (191mila) e la Sicilia (142mila), con la Campania (79mila) al quarto posto. Nel biologico dominano Sicilia, Calabria e Basilicata, che hanno superato la soglia del 25%, indicata dalla strategia Farm to Fork come traguardo al 2030. L’Abruzzo negli ultimi dodici anni ha raddoppiato la superficie certificata bio, superando il 15%. La Puglia con l’11,1%, la Sicilia con il 6,5% e l’Abruzzo con il 4,8% hanno quote rilevanti della produzione nazionale di vino. La Campania con 896 milioni, la Puglia (678 mln), la Sardegna (572 mln) e la Sicilia (545 mln) vantano un rilevante impatto economico di Dop e Igp, per quanto ci sia molto da fare nelle altre regioni meridionali. Il Molise ha il primato nazionale per quantitativi di tartufo, ma purtroppo è carente la valorizzazione regionale e tanto prodotto finisce nelle sagre del Nord Italia come eccellenza locale. Potrei continuare all’infinito con le eccellenze meridionali: credo che nel delicato passaggio di questi giorni, il dato non possa essere ignorato, come purtroppo sta avvenendo”.


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