Chi non ha amato Troisi alzi la mano.
Lo so, dall’altra parte siete tutti con le mani basse. Era, è possibile non amare Massimo?
Io la ricordo come fosse oggi, quella giornata del 1994, e sembra impossibile sia passato già così tanto tempo.
Il tempo, una cosa che talvolta si comprime nella testa, quando hai provato emozioni intense tali da sconquassare l’ordine delle cose, quelle tornano, e ritornano: intatte, così come sono state. Ed ecco che è oggi, non ieri o ventisei anni fa. È proprio oggi.
Così oggi provo lo stesso dolore di quel giorno, quando mi trovavo in una magnifica villa sulle colline toscane con una terrazza dalla quale potevi vedere la cupola del Brunelleschi. Una villa enorme, con un parco intorno e alberi come giganti, a custodirla. C’era profumo di gelsomini e tigli come ogni primavera che si rispetti.
C’era un trambusto di persone e viavai di macchine nel parcheggio ed io che avrei voluto urlare: zitti tutti, come potete festeggiare?
Era in corso un ricevimento organizzato dalla società della Fiorentina, la squadra di calcio, non ricordo per cosa. Quella villa non era abitata, ospitava eventi a pagamento. Per l’occasione era stato allestito un buffet pantagruelico sul quale gli ospiti si lanciarono come formiche impazzite, quasi non avessero mai visto cibo.
Ero abituata a quelle scene, faceva parte del mio lavoro: organizzare eventi come quello.
Ero lì a lavorare, anche se ormai il più era fatto, le richieste esaudite e la giostra poteva girare anche senza di me, che si strafogassero pure.
Io, in una piccola stanza al riparo da sguardi, piangevo.
La foto di Massimo Troisi a tutta pagina su Repubblica e io piangevo, quasi se ne fosse andato un fratello, un amico caro, un parente stretto, qualcuno che non ti rassegni a perdere.
Volevo soltanto che tutto finisse prima possibile per andarmene via, a casa e poter cullare quel dolore stretto al cuore, come un bambino stanco, nato storto per ingiustizia della vita.
E poi ancora, qualche mese dopo, ricordo la sala, il Manzoni, all’epoca il cinema più grande di Firenze: Il postino. Alla fine del film scattò un applauso spontaneo, eravamo tutti quanti in piedi a battere le mani come se quel suono liberasse un’emozione troppo forte per essere trattenuta, una sorta di corrente che passava da un corpo all’altro e diventava un unico saluto a Massimo.
Lo senti? Ti vogliamo bene, accidenti a te!
Alzi la mano chi non conosce Ricomincio da tre a memoria per averlo visto almeno quindici, venti volte, ridendo ogni volta a quella battuta che torna un secondo prima come con un’eco nella testa….
“Emigrante?”
“No… c’avevo pure un lavoro a Napoli, come tutti quanti, una cosa normale, no. Son partito così, pe viaggià, pe conoscere nu poco…”
Dice Massimo a un insolito Mirabella attore.
Viaggiare. Così fa la mente nel tempo, ieri, oggi, ventisei anni fa, quel giorno in quella villa trascorso per metà con lo sguardo fisso su un quotidiano imbevuto di lacrime che non ne volevano sapere di fermarsi.
«’Ossaje comme fa ’o core, je no, je no quann s’è sbagliato…»
Una canzone, con testo di Massimo Troisi, musica e voce di Pino Daniele.
«’Ossaje comme fa ’o core, je no, je no quann s’è sbagliato…»
Due cuori matti, due giganti, due amici veri, due napoletani.
E non c’è altro da dire.
Daniela Grandinetti