Cipulluzze, cucuzzelle, vajanelle, mulingiani e poi pipi, vruocculi, rapi, fhavi e pusella, cucinati da soli, con patate o pasta o in delicate pittilluzze e saporite vrasciole… la cucina di Lamezia Terme è da secoli rinomata per il suo cibo gustoso e variegato, ricco dei magnifici ortaggi, legumi e agrumi coltivati nella piana ma anche per i vini, i formaggi e i salumi prodotti nel suo territorio.

Inoltre, essendo sempre stata un punto nevralgico per gli scambi commerciali, nella città della Piana sono sempre state molte le osterie e le trattorie dove i forestieri si fermano a bere e mangiare i gustosi piatti e il «cibo di strada» calabrese.

La cucina lametina è fatta di alimenti semplici ma è ricca di colori, di profumi e di fantasia: il bisogno costringeva a cucinare quel che c’era di disponibile e al mattino non si andava al supermercato ma ci si affacciava nell’orto per raccogliere e cucinare i prodotti di stagione. Il pane si faceva in casa così come le conserve di tutto ciò che non veniva consumato al momento.

Nel susseguirsi delle stagioni il duro lavoro nelle vigne e la raccolta delle olive procurava la necessaria scorta d’olio e di vino per la famiglia e chi poteva allevava il maiale, «a ricchizza d’a casa», le cui carni lavorate con arte sopraffina erano cibo che durava fino all’anno successivo. In tutto questo le donne erano artefici di una specie di magia: impastavano, tagliuzzavano, mescolavano tra loro semplici prodotti dell’orto di casa, piante selvatiche, erbe aromatiche e tutto quello che c’era in giro di commestibile per trasformarli in pietanze gustose.

Nascono così gli indimenticabili piatti della cucina lametina: dal sanguinaccio alle frittole, dalle pittilluzze di ortaggi al capicollo, dalla «pitta avanti fhurnu» alle grispelle e alle cuzzupe.
Annamaria Persico