Sulla nascita e sullo sviluppo del rito dei Vattienti di Nocera Terinese, i penitenti che si battono a sangue il Venerdì Santo sera e il Sabato Santo, non si hanno notizie storicamente verificabili.
Dall’analisi documentaria, sono pochi i dati su cui lavorare: i risultati di un sinodo della Diocesi di Tropea della prima metà del Seicento, nel quale si fa menzione di alcuni movimenti che praticano la disciplina, lo statuto della congregazione della Santissima Annunziata di Nocera del 1777, conservato tra le carte residuali dell’Archivio della Chiesa, e le prime annotazioni demo-antropologiche della fine del XIX secolo.
Il documento vescovile rimanda ad un documento più antico, rintracciabile tra i Regesti Vaticani pubblicati da padre Franesco Russo, il quale riporta ad un diploma del pontefice Innocenzo VI col quale si invitavano i presuli di Benevento ad indagare vitae et moribus delle compagnie dei flagellanti nell’Italia meridionale: il documento citato è del 1361.
Qualche secolo più tardi, quasi quale sorte di continuità, il presule di Tropea, annotando l’esistenza di fraternità di Battuti, invita alla diffusione della pratica, definita pia.
La seconda notazione storica, più concreta, è data dallo statuto della congrega dell’Annunziata che rende noto come detta fratellanza, da settanta giorni prima della Domenica delle Palme, praticasse l’Officio della Disciplina con cui, attraverso vari passaggi liturgici, si conducevano i fratelli a mortificare il corpo per mezzo di nodose corde.
Le prime annotazioni sul rito dei Vattienti risalgono alla fine del XIX secolo ad opera di studiosi locali i quali, più per sentito dire che per testimonianza diretta, raccontano una propria versione del rito, dimostrando una generale disinformazione sia sugli strumenti che sull’iconografia del rito.
Per quanto concerne la origini del rituale, secondo il prof. Antonino Basile, esse non sono né cristiane né medievali e sottolinea nel suo scritto le affinità dell’uso dei Vattienti con i riti della morte di Attis, di Adone e di altre divinità della vegetazione, rimandando ad una mitologia agreste.
Secondo la diffusa tesi medievale, invece, le origini della flagellazione vanno ricercate nel fenomeno monastico che vedeva praticare la flagellazione a sangue all’interno dei conventi e che si manifestò nei primi anni del Mille allorché San Pier Damiani, nel De laude flagellorum difese tale pratica tanto che gli stessi se ne fecero propagatori tra i laici.
Annamaria Persico
Bibliografia: I Vattienti di Nocera Terinese – Un rituale contemporaneo della tradizione calabrese, inCalabria Edizioni, 2006
La Settimana Santa con il rito dei Vattienti viene vissuta a Nocera Terinese come il trionfo della vita sulla morte.
«Dal contatto con la morte nasce la prospettiva di una vita rinnovata e rinvigorita, garantita dal possesso di un inestimabile potere soprannaturale» (Enrico Comba, Cannibali e uomini lupo).
La morte quindi come momento di passaggio cruciale nella vita di ogni individuo, sia esso credente, sia esso non credente: a Nocera questo passaggio è suggellato dal dono del sangue, il sangue che è per la vita, il sangue che è per la morte.
Mauss, nel Saggio sul dono, codifica le tre regole del dono, riassunte all’interno del concetto di reciprocità, nozione che indica la predisposizione a ricambiare qualsiasi cosa che sia stata precedentemente donata. Queste sono: l’obbligo di dare, ricevere e ricambiare.
Questo principio di reciprocità è significativo a Nocera, sia a livello individuale che comunitario.
I Vattienti portano a compimento tutte e tre le regole del dono perché danno, offrendo il proprio sangue, elemento di massima importanza nella vita di ogni uomo; ricevono, attraverso la passione di Cristo, il perdono dei peccati e la grazia della richiesta votiva; ricambiano facendo offerta devozionale del loro corpo come strumento per ricongiungersi a Dio.
Riteniamo che il rito dei Vattienti sia il segno di vera modernità, non solo nella misura in cui temporalmente esso si svolge ancor oggi, quanto nonostante l’incessante scorrere del tempo e l’alternarsi delle civiltà questi ha saputo mantenere, nel rispetto delle diversità, la sua natura originaria, integrandola con le diverse esigenze proprie del rinnovarsi della società.
In epoche in cui il rito voleva essere scalzato dal contesto storico sociale ed economico di Nocera, esso ha saputo resistere a quelle spinte e coagulare le proprie forze nella scia delle origini. Un forte richiamo alle origini, che rimanda allo stesso essere uomo attraverso il linguaggio mistico del sangue.
Annalisa Serratore e Antonio Macchione
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Tratto da I Vattienti di Nocera Terinese-Un rituale contemporaneo della tradizione calabrese, inCalabria Edizioni, 2006