La notte dell’Epifania in Calabria è da sempre considerata magica. Piena di mistero per l’arrivo dei Magi dal lontano Oriente e della vecchietta sulla scopa che porta i doni, è anche la notte in cui accadono fatti meravigliosi, come gli animali che parlano e il vino e l’olio che scorre nei fiumi al posto dell’acqua.
Un tempo, tra il 5 e il 6 gennaio, l’attesa trascorreva tra mangiate delle immancabili grispelle e bevute di vino, fhocare, strine e messe della Stella, riti benauguranti per l’ultima notte prima del passaggio alla nuova stagione, l’unica in cui si apriva una breccia tra la terra e il cielo, tra l’umano e il divino e che faceva accadere eventi magici e prodigiosi.
Leggenda popolare vuole che nella notte dell’Epifania gli animali parlassero e quindi, per evitare che esprimessero giudizi negativi sui loro padroni e magari non volessero più lavorare per loro, venivano fatti mangiare e bere a sazietà. In alcuni paesi anche anche ai buoi venivano offerte le famose 13 cose, come agli umani a Natale, 13 tipi diversi di erbe e fiori per farli contenti.
Inoltre bisognava fare attenzione a non ascoltare gli animali mentre parlavano tra loro perché voleva dire che non erano stati trattati bene e si correva il rischio di venire a conoscenza di profezie di sciagure e morte. Insomma, nell’antico e semplice mondo rurale calabrese, l’Epifania era il giorno in cui si esprimeva rispetto e riconoscenza verso le creature che più erano vicine e utili agli esseri umani.
Il termine Epifania deriva dal greco epifàino (mi rendo manifesto) e epifàneia (apparizione, venuta, presenza divina), usati nell’antichità per qualsiasi manifestazione sovrannaturale. In Italia, e al Sud in particolare, la festa dell’Epifania deriva senz’altro dalle celebrazioni pagane dei greci prima e degli antichi romani poi, legate al solstizio d’inverno.
Era la giornata che concludeva il ciclo dei dodici giorni (uno per ogni mese dell’anno) che iniziava il 25 dicembre, giorno dedicato al Sole, e che segnava definitivamente il passaggio dall’anno vecchio al nuovo.
La Befana, dalla natura doppia e lunare, strega e benefattrice, discende probabilmente dalla figura di Diana, dea della luna, che secondo il mito durante i 12 giorni delle celebrazioni del Natalis Solis Invicti dell’antica Roma, sorvolava i campi per una sorta di benedizione.
Si usava inoltre, nello stesso periodo, bruciare una grande quercia senza farla mai spegnere e il carbone prodotto, simbolo di fertilità, veniva distribuito per l’uso domestico e per trarne auspici per il nuovo anno.
Con l’avvento del Cristianesimo, il 6 gennaio si è arricchito ancor di più di fascino perché è il giorno del Battesimo, del primo miracolo e della manifestazione di Gesù bambino ai re Magi, da magusàioi che significa maghi cioè indovini o astrologi.
I Magi con buona probabilità erano sacerdoti di origine persiana, esperti in astronomia e in politica, ma con l’andare del tempo si perse completamente ogni loro veridicità storica. Diventarono tre re, uno europeo, uno asiatico e uno africano, di età diverse per simboleggiare tutti il mondo allora conosciuto che si inchinava a Gesù, il re dei re.
Mentre le figure dei Re Magi prendevano sempre più piede nell’immaginario popolare, le celebrazioni del 6 gennaio, da sempre oscillanti tra Sole e Luna, divinità maschili e femminili, il mito lunare della donna potente e benefattrice quasi scalzato prima dal Sol Invictus e poi dal Gesù cristiano.
Della divinità femminile è rimasta la Befana, sia pure invecchiata e imbruttita, che si mostra nella notte magica dell’Epifania.
Annamaria Persico (articolo già pubblicato su Reportage il 4 gennaio 2017)