Da quando ho attaccato al chiodo, la targa ricordo del mio trascorso professionale nella scuola e mi sono totalmente dedicato al volontariato al servizio degli anziani, più anziani di me, alle prese con le “messe a punto” degli organi arrugginiti dagli anni, non avrei mai immaginato lo stato di salute (non è solo un eufemismo) del servizio sanitario nazionale in una regione come la nostra invecchiata più dei suoi vecchi e logorata da inefficienze amministrative e da approssimazioni organizzative preoccupanti. Nei giorni scorsi ho scritto una lettera aperta per segnalare il mio disagio nel prendere atto che, per una colonscopia o un doppler dei tronchi sovraortici o una spirometria globale, integrata da una visita pneumologica, si deve aspettare e non si sa quanto. Ma tutto sommato tanto male non mi andata considerato che ancora sono qui a segnalare pacatamente la mia insoddisfazione. Cosa che non può fare chi muore per un’ambulanza demedicalizzata che per giunta arriva in ritardo.
Quel 789789 del CUP provinciale , al quale mi sono rivolto, tempo fa, per prenotare le sopra richiamate prestazioni, è ormai divenuto un accompagnatore fisso in cui convivono ansie senili e silenzi metallici, rotti ogni tanto dall’aggiornamento dei minuti di attesa. Finalmente un’operatrice con tono garbato neutralizza ogni effervescenza di giustificate “incazzature”.
Ma veniamo al tema che sembrava dovesse svilupparsi in termini di ovvia scorrevolezza. In mezzo alle liste bloccate e ai calendari sospesi o non pervenuti al CUP provinciale per quattro prestazioni su sei, sono riuscito il 14 di marzo a sottopormi ad un elettrocardiogramma dinamico con applicazione dell’holter cardiaco che mi hanno rimosso il giorno dopo , sabato 15 Marzo. Prima di andar via, mi hanno chiesto il numero del cellulare per le eventuali comunicazioni sul ritiro del referto, ma dall’ambulatorio di cardiologia, per diversi giorni, non ho avuto alcuna comunicazione. A partire dal decimo giorno, ho provato e riprovato più volte, ma inutilmente, a contattare telefonicamente quel reparto. Finalmente oggi alle 11,25, a distanza di 13 giorni dall’esame strumentale, un’operatrice mi rispondeva, dopo avermi chiesto le generalità, che il referto non era stato ancora firmato. Mi congedava invitandomi a richiamare successivamente. Prima di interrompere la comunicazione e passare ai saluti di prammatica, Le comunicavo che ciò che stava accadendo ledeva platealmente il diritto al ritiro, in tempi accettabili, del referto e che non potevano essere dilazionati per una firma non apposta tempestivamente. Concludevo dicendo che di ciò avrebbero dovuto rendere conto. Alle 11,30, esattamente 5 minuti dopo, mi richiamava l’operatrice per informarmi che il referto era pronto e che in qualsiasi momento avrei potuto recarmi a Germaneto a ritirarlo. Sì, in qualsiasi momento! Per noi anziani, figli di una Calabria invecchiata, il tempo che scorre non è indifferente: perché non hanno i figli vicini scientificamente allontanati da uno Stato incapace, non di dare loro il pane ma quantomeno l’opportunità di guadagnarselo; perché i figli, i pochi rimasti, lavorano spesso senza tutele e, quando accompagnano i padri e le madri anziani a Germaneto o altrove, tolgono di bocca il pane ai loro figli. E come me, tanti altri anziani dell’hinterland lametino che all’ospedale di Lamezia Terme non trovano calendari disponibili per avere qualche risposta ai loro acciacchi e sono costretti a recarsi a Germaneto o al Pugliese-Ciaccio o, ancora peggio, nei presidi diagnostici di Taverna e Chiaravalle, gravati da un servizio di trasporto pubblico provinciale estremamente carente. Non c’è, per noi anziani, alternativa al ritornello: aspettare, aspettare ed aspettare quando il figlio, che ancora resiste a restare in questa terra maltrattata, potrà accompagnarlo per sottoporsi ad esame strumentale o a visita specialistica e, infine, a ritirare un referto; sempre “alla scurdata,” come dice un detto calabrese che resiste ancora, con l’ansia di non conoscere che cosa c’è scritto, ammesso e non concesso che il medico avrà avuto il tempo di apporre un cortese autografo. E così facendo, l’agonizzante sanità pubblica muore e a quella privata si preparano autostrade.
Fiore Isabella