Meloni in 'Io sono Giorgia': "Emozione per stanza Almirante, non facile arrivare fino a qui"
9 maggio 2021

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Meloni in ‘Io sono Giorgia': “Emozione per stanza Almirante, non facile arrivare fino a qui”


Quello di Giorgia Meloni, alla fine – complice anche il titolo ‘Io sono Giorgia’ – è un racconto autobiografico, in cui, la leader di Fratelli d’Italia trova la forza delle idee e della passione per mettere, almeno per un po’, da parte il carattere schivo, rivivendo tutte le sue emozioni, nella consapevolezza di un cammino politico ormai di primissimo piano. “Arrivo nel mio nuovo ufficio e mi chiudo dietro la porta – si legge a pagina 160 del volume edito da Rizzoli, nel capitolo che si intitola ‘Tutto è iniziato quando tutto stava per finire’ – . Il cuore mi batte forte, ma non sono mai stata tanto lucida come in questi istanti. Quello stesso ufficio una volta era di Gianfranco Fini e, prima di lui, di Pino Rauti e Giorgio Almirante. Rimango in silenzio, e a un tratto mi rendo conto dell’enorme responsabilità che mi sono assunta”.

E’ una mattina di novembre del 2019, via della Scrofa 39. “Il portone è quello della storica sede di An e prima ancora del Msi”. Meloni, che Fdi l’ha fondata nel 2012, entra nel luogo della storia della destra ‘repubblicana’ italiana. La ‘casa’ di Giorgio Almirante, morto nell’88, quando lei era una bambina undicenne.

“Ho raccolto il testimone di una storia lunga settant’anni, mi sono caricata sulle spalle i sogni e le speranze di un popolo che si era ritrovato senza un partito, senza un leader – scrive Meloni nel libro di cui l’Adnkronos ha letto alcuni stralci – . Che aveva rischiato di smarrirsi. È come se quei milioni di persone, quelle che combattono oggi con me e quelle che non ci sono più, fossero tutte lì. Come se mi guardassero, in silenzio, chiedendomi: ‘Ne sarai all’altezza?'”.

“Davanti agli occhi – racconta la leader di Fdi – vedo un lungo film, una storia fatta di tragedie, tradimenti, desideri, vittorie, sconfitte, sogni. Un mondo intero che non ha mai smesso di credere, né di combattere. La storia di cui parlo non è solo quella di Fratelli d’Italia, è molto più antica, ed è la storia di molte più persone”.

Una storia che Meloni ora si può intestare (“Sappiamo di essere staffette di una corsa lunghissima, e corriamo nella speranza che ci saranno altri a raccogliere il testimone”). Nei sondaggi abbiamo percentuali che la destra italiana non ha mai avuto, ed è la prima volta che un leader che proviene da questo mondo è in testa alla classifica di gradimento dei capi di partito”.

“Abbiamo fatto un lavoro enorme per ricostruire la nostra credibilità e guadagnarci questo spazio, perché a noi nessuno ha mai regalato niente: quando stai dalla parte che viene considerata quella sbagliata non ti puoi permettere il minimo errore”, scrive Giorgia: “Oggi possiamo dire che la destra c’è, cresce e vince” […] Eppure non è stato per nulla semplice arrivare fino a qui”.

E ancora: “Il momento forse più difficile arrivò proprio dopo le ultime elezioni politiche, nel 2018. […] Il centrodestra aveva avuto la fetta maggiore di voti, ma non aveva comunque i numeri per governare da solo. Il presidente della Repubblica preferì non tentare di dare l’incarico a un nostro esponente, segnatamente a Matteo Salvini, leader del partito che aveva preso più voti nella coalizione, e dunque premier designato secondo le regole che ci siamo sempre dati. Salvini, dal canto suo, non aveva insistito, ufficialmente perché considerava pericoloso presentarsi in Parlamento a cercare numeri che poteva anche non trovare, ma ufficiosamente, credo oggi, perché lo solleticava l’ipotesi di un’alleanza con il Movimento 5 Stelle” ricorda Giorgia Meloni, in un passaggio della sua autobiografia in uscita l’11 maggio, dal titolo ‘Io sono Giorgia’, di cui l’Adnkronos ha potuto leggere alcune parti, dedicato alle ultime elezioni politiche, nel marzo del 2018.

“Del resto, durante la campagna elettorale avevo proposto il famoso ‘patto anti-inciucio’ chiedendo ai miei alleati di escludere in ogni caso, dopo il voto, alleanze al di fuori del perimetro della coalizione di centrodestra, ma la mattina della manifestazione in cui questo impegno solenne avrebbe dovuto essere sottoscritto mi ero ritrovata da sola”, ricorda Meloni.

“Su questo genere di scelte Matteo Salvini è sempre stato – rimarca – molto meno rigido di me, e a volte l’ho invidiato per questo. Sa sempre interpretare quello che vuole la gente, è la sua forza”.

E ancora: “Questa della lotta alle pensioni d’oro è una mia antica battaglia, purtroppo poi sposata anche dai grillini che, puntualmente, l’hanno ridicolizzata e affossata. Ma ancora oggi sono convinta che sia una rivendicazione sacrosanta” si legge ancora nell’autobiografia, con questa riflessione sul tema delle pensioni e dei vitalizi. “Non ho nulla contro la ricchezza meritata e non ho nulla contro le alte pensioni frutto di contributi versati – spiega – . Sono contro le ingiustizie e le furbate, però, come assegni da 30.000 euro al mese ottenuti grazie a leggi fatte apposta per favorire alcuni pochi fortunati a discapito di tutti gli altri”.

“Per questo mi sono sempre battuta per chiedere che oltre una determinata somma, anche alta come 5.000 euro al mese, si verificasse se la pensione percepita fosse frutto di contributi versati oppure no, e nel caso ridurla proporzionalmente. Sembra una proposta di buon senso, no? Peccato che quelli che decidono, tipo i membri della Corte Costituzionale, siano proprio quelli che beneficiano di questi meccanismi generosi”, conclude amara.


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