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16 aprile 2017

News Calabria

Pasqua in Calabria: la leggenda di San Francesco e dell’agnellino Martinè


Una bellissima leggenda calabrese narra la storia di Martinello, l’agnellino che seguiva San Francesco di Paola in ogni suo passo e al quale ‘U Santupatri si affezionò molto.

Un giorno però, durante i lavori per la costruzione della chiesa a Paola, alcuni operai glielo rubarono e dopo averlo sgozzato e mangiato, ne gettarono la pelle e le ossa nella fornace della calce.

Appena Francesco lo venne a sapere, si recò subito all’imboccatura della fornace chiamando forte: «Martinè, Martinè, vieni qua!». L’agnellino sano e in vita saltò fuori dalle fiamme, accorse festoso da San Francesco e, come era solito fare, prese il cibo dalle mani di lui.

E’ per questo miracolo che San Francesco di Paola viene rappresentato con in braccio un agnellino e da allora in molti preferirono non mangiare più per Pasqua agnelli veri, bensì quelli fatti di zucchero e pasta reale.

In San Francesco di Paola e nelle sue opere ritroviamo in toto il pensiero di San Francesco d’Assisi, la consapevolezza rivoluzionaria dell’amore che merita ogni creatura, ogni essere vivente e la natura tutta in quanto parte del Creato.

Annamaria Persico

Convertitevi con cuore sincero

“Il nostro Signore Gesù Cristo, che dà a tutti la giusta ricompensa, vi renda merito delle vostre fatiche. Guardatevi da ogni male, fuggite i pericoli, in qualunque luogo abbiate a recarvi o a dimorare. Noi, con tutti i nostri fratelli, benché siamo indegni, pregheremo sempre l’eterno Dio Padre e il Figlio suo Gesù Cristo e la gloriosa sua madre, la Vergine Maria, che vi aiutino sempre e vi guidino alla salvezza dell’anima e del corpo, e vi facciano progredire di bene in meglio fino alla fine.

D’altra parte, fratelli, vi esorto e vi prego, quanto posso, di esser prudenti e diligenti circa la salvezza dell’anima vostra, pensando che la morte è sicura per tutti, che la vita è breve e altro non è che fumo che presto svanisce.

Ricordatevi della passione del nostro Signore e Salvatore e pensate quanto infinito fu quell’ardore che discese dal cielo in terra per salvarci, che per noi soffrì tanti tormenti e subì la fame, il freddo, la sete, il caldo e ogni umana sofferenza, nulla rifiutando per amor nostro e dando esempio di perfetta pazienza e di perfetto amore. Siamo dunque tutti pazienti nelle nostre avversità e sopportiamole con amore, pensando che Gesù Cristo nostro Signore soffrì tanti affanni e tribolazioni per gli altri.

Deponete dunque ogni odio e ogni inimicizia, guardatevi diligentemente dalle parole più aspre e, se ne uscissero dalla vostra bocca, non vi rincresca trarne il rimedio dalla stessa bocca da cui vennero inferte quelle ferite. E così perdonatevi a vicenda e poi non pensate più all’ingiuria arrecatavi. Il ricordo della malvagità è infatti ingiuria, colmo di follia, custodia del peccato, odio della giustizia, freccia rugginosa, veleno dell’anima, dispersione della virtù, tarlo della mente, confusione dell’orazione, lacerazione delle preghiere fatte a Dio, abbandono della carità, chiodo infisso nelle nostre anime, peccato che non viene mai meno e morte quotidiana.

Amate la pace, perché è molto meglio di qualsiasi tesoro che i popoli possano avere. Sappiate certo che i nostri peccati muovono Dio all’ira. Per questo correggetevi e pentitevi dei vostri peccati passati, poiché Dio vi aspetta a braccia aperte. Ciò che nascondiamo al mondo, non si può nascondere a Dio: convertitevi sinceramente. Vivete in tal modo da ricevere la benedizione del Signore e la pace del Dio nostro Padre sia sempre con voi.

Dalle « Lettere » di san Francesco da Paola (Lett. del 1486; cfr. ed. A. Galluzzi, Origini dell’Ordine dei Minimi, Roma 1967, pp. 121-122; qui testo leggermente adattato)


Annamaria Persico


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