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21 marzo 2017

Ricette calabresi-cucina leggendaria

Pastiera napoletana: ricetta, storia e leggenda del sublime dolce pasquale


E’ venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato: è questa la prima citazione ufficiale della pastiera e risale al 1636, quando Giambattista Basile ne parlò nella famosa opera La Gatta Cenerentola.

Risale invece all’Ottocento borbonico un altro simpatico aneddoto su Maria Teresa d’Asburgo-Teschen, soprannominata la Regina che non sorride mai, la quale fu vista sorridere per la prima volta a corte quando, dietro le insistenze del marito, re Ferdinando II di Borbone, assaggiò una fetta di pastiera. Si dice che da qui nacque il detto che i napoletani ancor oggi usano per indurre le persone a ridere: e magnatell’na risata.

La pastiera napoletana, tipico dessert pasquale, è uno dei dolci più conosciuti e amati in Italia e nel mondo. Dolce, morbida, dal colore dell’oro e dal profumo inebriante, le sue origini risalgono alla notte dei tempi, a quando il grano cotto e le uova accompagnavano i riti pagani che celebravano la primavera, a quando i romani iniziarono ad usare la confarratio, un morbido impasto di farro cotto e ricotta, per le cerimonie nuziali oppure a quando, all’epoca di Costantino il Grande, nella sacra notte di Pasqua venivano donate ai catecumeni focacce rituali a base di grano, latte e miele.

La pastiera appartiene non solo alla storia, ma anche ai miti e alle leggende mediterranee delle Sirene Ligea, Leucosia e Partenope. In particolare si narra infatti che un giorno la sirena Partenope, incantata dalle bellezze del golfo di Napoli, decise di stabilire in quello splendido mare la sua dimora.

Ogni primavera la bellissima sirena emergeva dalle acque e, per ringraziare gli abitanti di quei luoghi felici, cantava per loro. La sua voce era così melodiosa e affascinante che, per ricambiare tanto affetto, i napoletani decisero di donarle quanto di più prezioso avessero.

Sette tra le più belle fanciulle dei villaggi del Golfo consegnarono i doni a Partenope: la farina, simbolo di forza e ricchezza della terra; la ricotta, simbolo di abbondanza e generosità; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero bollito nel latte, omaggio dei due regni della natura, vegetale e animale; l’acqua di fiori d’arancio, che è il profumo della terra campana; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l’ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l’universo.

La sirena fu molto felice dei doni, salutò con grazia e si inabissò con il tesoro per fare ritorno alla sua dimora marina. Non tenne per sé quelle offerte preziose, ma le depose ai piedi degli Dei i quali, rapiti anch’essi dal suo soave canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.

Nell’attuale versione, la pastiera fu inventata probabilmente in un monastero, così come altri dolci tradizionali italiani. Già nel Seicento a Napoli le suore dell’antico convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in quantità per le famiglie più in vista della città.

L’antica preparazione ha avuto solo nel Novecento un’unica variante, che è quella dell’aggiunta di una buona crema pasticcera al ripieno di ricotta e uova. L’innovazione, dovuta al dolciere-lattaio napoletano Starace, ha diviso e divide tuttora gli appassionati di pastiera in due scuole di pensiero.

Ed ora, perché sia concesso a tutti di deliziare l’anima e il palato, la ricetta della divina Pastiera!

INGREDIENTI per la pastafrolla
500 g di farina 00
250 g di burro o 175 g di strutto
170 g di zucchero
3 uova intere
Buccia di limone grattugiata
INGREDIENTI per il ripieno
600 g di ricotta di pecora
400 g di grano cotto
520 g di zucchero semolato
Zeste di un limone intero
50 g di cedro candito
50 g di arancia candita
50 g di zucca candita
100 g di latte
30 g di burro o strutto
5 uova intere + 2 tuorli
Vaniglia
30 ml di essenza di zagara (fior di arancio)
Un pizzico di cannella (facoltativo)

PREPARAZIONE
Disporre la farina a fontana, versarci dentro lo strutto a temperatura ambiente, lo zucchero e la scorzetta d’arancia, iniziare a impastare, dopo qualche istante, aggiungervi le uova e compattare la pasta. Far riposare in frigorifero almeno 2 ore.

Mettere in un pentolino il grano cotto, il latte, il burro o lo strutto e le zeste (strisce di buccia) di limone. Fare arrivare a bollore, spegnere la fiamma e lasciare intiepidire. La consistenza deve essere quella di una crema.

A parte preparare il ripieno, montando la ricotta con lo zucchero e le uova, aggiungendo poi le zeste, i canditi e gli altri ingredienti sopraelencati. Unire a questo ripieno il grano preparato in precedenza, ricordando di togliere le zeste. Foderare il classico “ruoto” in ferro (altezza regolamentare 6 centimetri) con la pasta frolla sottile e riempire con il ripieno a mezzo centimetro dal bordo. Chiudere con strisce di frolla incrociate in diagonale.

Fare cuocere in forno statico a 180°c per circa 60 minuti. In fase di cottura la pastiera gonfia a causa del vapore che si forma dall’acqua del ripieno ma una volta tirata fuori dal forno, si sgonfierà livellandosi al bordo. Quando sarà raffreddata spolverare con zucchero a velo ma attenzione: per meglio apprezzare questa squisitezza in tutte le sue infinite sfumature, consigliamo di aspettare il giorno dopo per gustarla… se ci riuscite!
Annamaria Persico


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