La Camera dei deputati ha approvato oggi, con 367 sì e 194 no, il disegno di legge firmato dal ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. Hanno votato a favore: Pd, Area popolare, Scelta civica, Ala, Democrazia solidale-Centro democratico, Psi. Si sono espressi per il no: Movimento 5 Stelle, Sinistra italiana-Sel, Lega Nord, Forza Italia, Fdi-An, Alternativa libera-possibile, Conservatori e riformisti.
Si tratta della terza riforma costituzionale all’esame del Parlamento in 15 anni. Quella approvata nel 2001 dal centrosinistra introdusse nella Carta il federalismo regionale. Quella del centrodestra, che ampliava i poteri delle Regioni e introduceva il premierato, oltre a istituire il Senato federale, fu invece bocciata nel 2006 dal referendum confermativo.
Il ddl, che ora dovrà essere approvato nuovamente fra almeno tre mesi da entrambi i rami del Parlamento, con la maggioranza assoluta, modifica ben 36 articoli della Carta, riformando in particolare completamente Senato e organizzazione del Parlamento e il titolo V della Costituzione relativo alla disciplina delle Regioni. In ottobre dovrebbe tenersi poi il referendum confermativo, come annunciato dal governo.
L’obiettivo della riforma è principalmente quello di aumentare i poteri del governo centrale e di accelerare l’iter delle sue decisioni, mettendo fine al «bicameralismo perfetto» ed alla possibilità per il Senato di votare la fiducia all’esecutivo.
La revisione del titolo V della seconda parte della Costituzione toglie alcuni poteri alle Regioni – in particolare sull’energia, le grandi infrastrutture e il turismo – e li ridà allo Stato, invertendo almeno in parte la spinta federalista degli anni passati. Si tiene aperta la possibilità di concedere alcuni poteri alle Regioni «virtuose» in tema di bilancio.
Il nuovo Senato – composto da 100 senatori, di cui 5 di nomina presidenziale, contro i 315 attuali più quelli a vita – non voterà più la fiducia al governo e avrà competenza solo su una parte delle leggi, con una prevedibile riduzione dei tempi necessari a varare provvedimenti.
Il ddl elimina definitivamente le Province e il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), modifica l’istituto del referendum (introduce una nuova soglia di 800.000 firme per quelli abrogativi e prevede quelli propositivi).
Il presidente della Repubblica sarà eletto dalle Camere riunite senza i delegati regionali, e dalla settima votazione basteranno per eleggerlo i tre quinti dei votanti.