Un altro superstite ha disegnato una barca, ma questa volta avvolta nel blu del mare. E un altro ancora ha disegnato una barca viola sbilenca con su scritto ‘180 people’ e ‘120 is dead’, cioè ‘Su 180 persone ne sono morte 120′. I volontari cercano di distrarre i superstiti in ogni modo. Ma è difficile. “Ci sono ragazzi che non escono dalle stanze, altri che non profferiscono parola. Sono momenti difficili per loro”, racconta Giovanna Di Benedetto di Save the Children. Poi però gli occhi le si illuminano quando ricorda che due giorni fa “c’è stato un momento di condivisione” che ha coinvolto quasi tutti, adulti e bambini. E’ bastato un pallone. “Sono usciti anche alcuni ragazzi che non avevano più la forza di parlare. Tutti insieme hanno giocato a pallone, un momento bellissimo”. Certo, non basta un pallone. “Però almeno per qualche minuti sono riusciti ad evadere da questa realtà”, dice Di Bendetto.
Ma c’è un ragazzo siriano, di venti anni, che non riesce a parlare da domenica, se non per gridare il suo dolore per essere sopravvissuto al fratellino di sei anni. “L’ho tenuto su un pezzo di legno per un po’ – ha raccontato tra le lacrime – e non sono riuscito a salvarlo perché è morto di ipotermia. Dovevo morire io al suo posto”. Poi ci sono i bambini ricoverati all’ospedale San Giovanni Di Dio di Crotone, che ogni giorno incontrano una maestra che li fa giocare e disegnare. Anche per loro la vita va avanti.