Il dossier presentato alla Fda include i dati di uno studio clinico di fase 3 su 306 partecipanti di età compresa tra 18 e 55 anni che hanno ricevuto una dose di richiamo (terza dose) del vaccino tra 4,8 e 8 mesi dopo aver completato il regime primario a due dosi, con un tempo medio di follow-up di 2,6 mesi dopo il richiamo. La terza dose ha suscitato, secondo quanto riferiscono le due aziende in una nota, “robusti anticorpi neutralizzanti contro il ceppo del virus” originario (wild-type). Un mese dopo questo richiamo, i livelli erano “3,3 volte” quelli rilevati un mese dopo la seconda dose. Inoltre, “il 99,5% dei partecipanti ha avuto una risposta quadrupla dopo la terza dose, rispetto al 98% dopo la seconda dose”.
Il profilo di reattogenicità entro 7 giorni dopo la terza dose era in genere da lieve a moderato. Gli eventi più comuni includevano dolore al sito di iniezione, affaticamento, mal di testa, dolori muscolari e articolari e brividi. “La frequenza di qualsiasi evento sistemico grave dopo la dose di richiamo era bassa – aggiungono Pfizer e BioNTech – E la frequenza della reattogenicità era simile o migliore rispetto alla seconda dose della serie primaria”.
Una terza dose di questo vaccino non è attualmente autorizzata per un ampio uso negli Stati Uniti ma, in base all’attuale autorizzazione all’uso di emergenza modificata, è stata autorizzata il 12 agosto per persone dai 12 anni in su che hanno subito un trapianto o a cui è stata diagnosticata una condizione che si ritiene abbia un livello equivalente di immunocompromissione.