Sono 13 i cibi che in Calabria bisogna mangiare la sera del 24 dicembre, 13 portate come il numero degli Apostoli insieme a Gesù ma possono essere anche 9, come i mesi dell’attesa, o 7 come le virtù, ma sempre rigorosamente a base di verdure, ortaggi e pesce conservato o fresco.
Una cena di magro insomma, ma non fatevi ingannare da questa parola e soprattutto non aspettatevi cibi leggeri e poco calorici, perché è il momento in cui le sacre fritture calabresi raggiungono davvero il clou della prelibatezza e vanno preparate e mangiate “per devozione”, dando al cibo un senso di dono e condivisione che nutre l’anima e il corpo.
La tradizione lametina (in altre zone è un poco diversa) prevedeva: olive, pomodori secchi, giardiniera, pasta con la mollica, baccalà fritto, baccalà in umido, broccoli neri, broccoli bianchi, finocchi, noci, castagne, mandarini e grispelle, il pane e il vino non si conta.
Da dire che la cena della Vigilia nella Calabria contadina di un tempo era più importante del pranzo di Natale, era il momento magico in cui la famiglia si riuniva per accogliere degnamente il Bambinello e per il quale si lavorava duramente tutto l’anno.
Nel tempo la cena del 24 si è arricchita di qualche variante sul tema e di piatti più elaborati, ma risulta essere ancora un rito, un amorevole intreccio tra sacro e profano in cui le varie preparazioni di piatti tipici, al di là delle mode consumiste, continuano a rappresentare l’antico legame tra Umano e Divino e ad offrire ancora il senso di una festa che celebra la nascita di Dio, quindi della vita e della famiglia. Ancora adesso al Sud il Natale significa famiglia, è l’unico giorno dell’anno cui il rientro a casa è d’obbligo per gli innumerevoli calabresi sparsi per il mondo e, se non si riesce, quantomeno si preparano i piatti della cena di Vigilia alla calabrese.
Altre tradizioni del 24 dicembre, anche se un po’ in disuso, sono quelle di non sparecchiare finita la cena, perché si lascia da mangiare per il Bambin Gesù che sta arrivando. Bambini ancora protagonisti quando a mezzanotte tocca al più piccolo della famiglia, seguito dagli altri e intonando “Tu scendi dalle stelle”, deporre il bambinello nel presepe.
Se si preparano le grispelle, bisogna farne una a forma di bambino per buon augurio, e anche il pane fatto in casa, chiamato ‘u natalisi, assume forme particolari a treccia e a corona. E ancora si accende in piazza la fhocara, il falò che scaccia gli spiriti maligni, e si canta la strina.
Un piatto calabrese tipico della Vigilia, soprattutto nel Lametino è senz’altro il baccalà, l’unico pesce un tempo alla portata di tutte le tasche ma sano e gustoso e ora assurto a piatto gourmet.
La qualità più amata, forse per la fissa che i calabresi hanno sempre avuto per i santi, era il baccalà cosiddetto San Giuanni, il cui nome però, più prosaicamente, era Saint John, dalla zona di produzione nell’isola di Terranova in Canada. Ma non importa, è buonissimo e sempre Santo è!
Ed ecco la ricetta del baccalà frijutu ccu pipi e alivi niguri (baccalà fritto con peperoni e olive nere)
INGREDIENTI
1 chilo di baccalà già spugnato, farina, due peperoni, olive nere, pepe rosso macinato, sale, olio evo.
PREPARAZIONE
Tagliate a pezzi il baccalà, infarinatelo bene e fatelo friggere in una padella con poco olio evo. Quando è leggermente dorato, aggiungete i peperoni (anche secchi o di salaturu) e olive nere e completate la cottura. Fatelo sgocciolare e infine chiudete in bellezza con una bella spolverata di pipi ammaccatu, e cioè peperoncino secco macinato.
Annamaria Persico