di Fiore Isabella
La notizia, riportata da alcuni quotidiani, di un gruppo di ragazzi Down presi di mira da una famiglia indisponibile a condividere lo spazio per il consumo di una pizza, è rivelatrice di quanto di più sconcertante ed incivile possa accadere da punto di vista dell’educazione alla convivenza, in un mondo incitato all’odio e alla divisione da chi, sulla discriminazione e sul paradigma” Del prima di tutto, noi… e poi il resto” ha costruito un’infelice parabola politica, come se il “resto” fosse qualcosa da smaltire perché troppo ingombrante e fastidioso. Proprio dalla percezione dell’altro, in particolare di chi è portatore di una qualche disabilità, come ingombro e fastidio che nasce il tarlo dell’intolleranza.
Per quattro interi anni scolastici, da maestro, durante la mensa, ho avuto il privilegio di condividere il pasto con Mattia il mio alunno Down, deceduto nell’ottobre di due anni fa, che ha ispirato il mio racconto autobiografico “La scuola…secondo Mattia” pubblicato da InCalabria Edizioni. Quel consumare il pasto, insieme, non era il freddo rito quotidiano di una scuola a tempo pieno, ma il segno tangibile dell’amore per la condivisione di un piatto di riso che esternava con un sorriso di gradimento, quando finiva di consumare la sua porzione, utilizzando le due parole che sapeva articolare meglio” Nonno, ancora!”. Quel Bambino era Mattia Guerrieri il cui incontro descrivo in questa pagina del mio libro ”Quella mattina, eravamo all’inizio della seconda decade del mese di settembre dell’anno scolastico 2013-2014, accompagnato dai genitori fece irruzione nel nostro cuore, e non solo nello spazio fisico dove i bambini imparano a leggere e a scrivere, Mattia Guerrieri. I suoi occhi come lampadine accese si aprirono a un sorriso coinvolgente e bello; il clima era propizio perché nessun bambino della costituenda I C aveva accennato al solito pianto che precede il distacco dalle mamme, il primo giorno di scuola. Un apporto decisivo, a scongiurare il solito bagno di lacrime, lo diede lui, perdutamente attratto dalla nuova esperienza educativa e di relazione che contagiò tutti noi, insegnanti e bambini. Mattia, emotivamente autonomo, come se tutto gli fosse già familiare e avesse una voglia matta di iniziare il nuovo capitolo della sua vita, non impiegò molto tempo a conquistare il ruolo di leader e di collaboratore fidato e affidabile dei suoi maestri”.
Io non so come intervenire per contrastare la deriva, che l’episodio di Filadelfia denuncia drammaticamente, di una discriminazione consumata sulla diversità della condizione umana che non si inscrive, e lì si esaurisce, nel solco del cosiddetto bullismo goliardico, ma è l’esercizio scomposto di un pregiudizio che non impiega molto a trasformarsi in razzismo ed intolleranza. Quel che mi sento di fare, alla luce dello sgomento per un episodio moralmente squallido, è inseguire i luoghi dove si consumano vergogne simili, a partire da quella pizzeria della civile Filadelfia, con il mio libro dal titolo volutamente evangelico per raccontare, più da educatore che da scrittore, un’esperienza pedagogica ed umana a contatto con quel tratto della “diversità” che mi ha fatto del bene più di quanto possa averne fatto io con la mia vera o presunta normalità. E tutto ciò, per dirla con le parole di Jacques Vonèche psicologo dell’età evolutiva, mi ha insegnato che “…Educare non è trasmettere un sapere da una generazione all’altra, come si legge spessissimo: è piuttosto una conversazione d’amore reciproco nella quale si scopre il potere creativo della parola di carne”. Vogliano quei meravigliosi ragazzi, additati in Pizzeria come degli intrusi, tenere sempre attiva quella conversazione d’amore, perché è la sola in grado di tenere accesa la luce della convivenza.
FIORE ISABELLA