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27 marzo 2020

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Dantedì: grande successo per gli eventi del Polo museale della Calabria


E’ stato celebrato lo scorso 25 marzo in molte Sedi afferenti al Polo museale della Calabria, guidato dalla dottoressa Antonella Cucciniello, il Dantedì.

Iniziativa, di grande valenza culturale, dedicata al Sommo Poeta Dante Alighieri.

Ne tracciamo un resoconto onde evidenziare le simbologia, le similitudini e i richiami esistenti con l’universo dantesco.

Chiesa di San Francesco d’Assisi – Gerace (Reggio Calabria)
Direttore: Rossana Baccari
mail: pm-cal.sanfrancesco@beniculturali.it
Immaginandolo tra i beati, gli spiriti sapienti che risplendono nel IV cielo o cielo del Sole, Dante ricorda la figura di San Francesco d’Assisi nell’XI canto del Paradiso. Lo definisce “serafico in ardore”, ossia ardente di carità come un serafino, e con mirabili versi ne descrive l’amore mistico con Madonna povertà, la sposa che Francesco prima di morire affiderà ai suoi discepoli.

«… privata del primo marito
millecent’anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette senza invito» …
(vv.64-66)

«La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi»
(vv.76-78)

Quando a colui ch’a tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso a la mercede
ch’el meritò nel suo farsi pusillo,

a’ frati suoi, sì com’ a giuste rede,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l’amassero a fede;

e del suo grembo l’anima preclara
mover si volle, tornando al suo regno,
e al suo corpo non volle altra bara.
(vv.109-117)

La luce spirituale con cui il sommo poeta rappresenta Francesco rifulge come quella del sole che sorge nell’equinozio di primavera e con lo stesso splendore brillano i colori dei mosaici che adornano gli altari della Chiesa di Gerace a lui intitolata e dedicata al suo ordine religioso.
Tra i riquadri dell’altare maggiore che riproducono immagini realistiche della città, uno in particolare rappresenta con delicati dettagli una scena di vita quotidiana dei frati che abitavano il convento francescano.

In allegato foto Chiesa san Francesco d’Assisi

Museo e Parco Archeologico Nazionale di Sibari – Cassano all’Ionio (Cosenza)
Direttore: Adele Bonofiglio
mail: pm-cal.sibaritide@beniculturali.it
Il mito del Labirinto evoca figure e situazioni collegabili a SIMBOLI carichi di significato ancora oggi efficaci. L’avventura di Teseo nel labirinto ha il significato del percorso che l’uomo intraprende alla ricerca di se stesso, di un principio divino, di un minotauro o altro che possa rappresentare un “centro” un punto fermo da cui partire. La via che si snoda nel Labirinto simboleggia la discesa verso il “basso” ovvero nella disperazione, il percorso rappresenta la purificazione e il ritrovamento di sé. Uscire dal Labirinto rappresenta una rinascita. Il reperto collega questo mito con Arianna il cui filo della tessitura riporta Teseo alla luce e quindi all’attività femminile della tessitura. Anche nella Divina Commedia il lettore si smarrisce in una “selva oscura” e si ritrova compiendo un viaggio individuale e collettivo entro il dedalo di un labirinto: il labirinto della coscienza e del significato in cui tutto ciò che è detto rimanda ad un Altrove. Nella Divina Commedia c’è un Labirinto tracciato dall’Inferno – Purgatorio – Paradiso. E’ quello descritto da Ulisse.
Nell’Inferno Dante colloca il Minotauro nel VII Cerchio dove sono puniti i violenti e lo introduce all’inizio del Canto XII. Spesso accostato al peccato della lussuria, il Minotauro è un ostacolo da superare per percorrere una nuova strada, più giusta e corretta. Il Labirinto rappresenta quindi nella sua accezione mistica, un processo di iniziazione, un rituale personale di ascesi.
In allegato foto del reperto archeologico conservato presso il Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide (Peso ornamentale decorato con motivo a labirinto. Francavilla Marittima (CS), località Timpone Motta. Datazione: IX – VIII sec a.C.).
Museo Archeologico Nazionale di Crotone (Crotone)
Direttore: Gregorio Aversa
mail: pm-cal.crotone@beniculturali.it
“Io son”, cantava, “io son dolce serena,
che’ marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!

Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s’ausa,
rado sen parte; sì tutto l’appago!”
(Purgatorio, canto XIX, vv. 19-24)

Nel canto XIX del Purgatorio Dante sogna una “femmina balba”, cioè una donna balbuziente, storpia che pian piano diventa sempre più bella e accattivante e si rivela al Sommo Poeta come Sirena. Subito dopo ne appare un’altra, dall’aspetto virtuoso che la contrasta, finché interviene Virgilio a squarciare le vesti della prima, facendone apparire il ventre putrido e puzzolente. Svegliatosi spaventato, a Dante il Vate spiega che la prima delle due donne rappresenta la cupidigia dei beni materiali, la seconda simboleggia la temperanza. Significato del sogno è che l’uomo deve contrastare la cupidigia attraverso la temperanza: controllando cioè i propri istinti e desideri materiali, egli può frenare l’avidità e ogni brama smodata.
Sulle monete della città greca di Terina è raffigurata una donna alata, da alcuni studiosi interpretata come immagine della sirena Ligea.
Terina fu fondata dall’achea Kroton, dove gli unguentari in bronzo erano particolarmente diffusi: essi forniscono la migliore rappresentazione di questo ambiguo essere mostruoso!


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