Giro di boa: è un successo, contro ogni previsione statistica.
Con buona pace di Amadeus, che pensava di lasciare un vuoto incolmabile e invece ha solo lasciato due successi ancora più grandi, gli Affari Tuoi di Stefano De Martino e appunto il Sanremo di Carlo Conti.
Un successo assoluto, almeno guardando agli ascolti: se nella prima serata ha avuto 12milioni di spettatori con un 65% di share (due milioni in più rispetto al 2024), nella seconda ha totalizzato 11.700.000 spettatori e 64,5% di share (Sanremo 74 fece 10.361.000 spettatori con il 60.1%), mentre nella terza serata ha portato a casa 10,7 milioni di ascolti e share del 59,8%: solo 0,3 punti in meno rispetto all’anno precedente, ma il risultato in assoluto più alto dal 2000.
Insomma, dati alla mano Sanremo 75 è un trend in salita anche rispetto ad Amadeus, che nei cinque anni di reggenza si pensava avesse fatto il massimo.
Si può dare di più (?)
A quanto pare, Amadeus ha “semplicemente” -ma di semplice non c’era davvero nulla- fatto si che il Festival di Sanremo tornasse ad essere un fenomeno di costume, guardato e commentato anche e soprattutto da una fascia di pubblico giovane. Carlo Conti ha continuato in maniera brillante, perché ad oggi è innegabile che sia lui che il direttore artistico suo predecessore sono di certo il miglior intrattenimento oggi disponibile sulla tv generalista: mediamente simpatici, mediamente appassionati, mediamente trasversali.
Con Conti è forse un pelino più evidente quella tendenza all’appiattimento che si traduce in una conduzione veloce e leggera, senza nessun graffio, senza scossoni, si potrebbe arrivare a dire senza un’idea di spettacolo che non sia il mero assemblaggio di tanti parti; cose che se da una parte fanno gridare i benpensanti ogni anno, dall’altra sono il sale di una manifestazione così totemica che sembra non poter prescindere dai cotillon di contorno.
Resta il fatto che dal punto di vista dell’intrattenimento non si può fare di più, tutto sommato, specialmente in una fascia di prima serata con percentuali ormai assodate come bulgare.
Finita per grazia del cielo l’era dei monologhi, finora anche i co-conduttori hanno brillato, sia per un verso che per l’altro: Geppi Cucciari stravince a mani basse, sfiorando la perfezione e la genialità, Gerry Scotti e Antonella Clerici per eleganza e sobrietà, ognuno nel suo ruolo, Nino Frassica e Katia Follesa come schegge impazzite -certo istituzionali, ma pur sempre imprevedibili nella loro comicità anarchica, specialmente lei spigliata, auto-ironica, sagace, veloce ma con intelligenza, nel pieno controllo del palco e di sé stessa pur mentre spariglia le carte, insomma vera mattatrice, Bianca Balti, fiera e realmente libera nella sua bellezza sfrontata (Miriam Leone, Mahmood ed Elettra Lamborghini non pervenute).
Il problema, alla fine, sta sempre là, però, nella musica.
Musica liquida, mercato inabissato
Per quanto il lustro di Amadeus abbia invertito la tendenza e riportato le canzoni di Sanremo in classifica; e per quanto oggi l’80% dei concorrenti provenga da format o talent che nascono o convivono con i social e quindi con la fascia di pubblico più giovane (e più richiesta); rimane la circostanza che sono anni che Sanremo non regala una canzone che resti nella storia.
Il problema, è evidente, non è né Amadeus, né Conti, né chi li ha preceduti. È almeno dal 2000 che il brano vincitore non si impone negli anni successivi (a bruciapelo: chi ha vinto lo scorso anno?), ed è da qualche anno ancora prima che la musica che attraversa il palco dell’Ariston è, mediamente, semplicemente brutta.
Il problema sta nel mercato musicale, nell’offerta di oggi, nel parco artisti che affollano le radio e le classifiche.
Da quando la musica è diventata liquida, è una corsa a ribasso, un piano inclinato che sempre più velocemente trascina verso il basso.
Per fare una canzone, e per fare successo, non serve più conoscere la musica, sapere cantare, avere un produttore o una casa discografica, fare della gavetta: per “fare il cantante” basta un cellulare e un buon fandom di amici.
Trapper tatuati e rapper criminali sono protagonisti, interpreti di canzoni create con l’utilizzo di algoritmi e professionisti del mercato che producono canzoni in serie per un mercato sempre più omologato. Certificazioni FIMI false come banconote di settantasette euro, live sold-out gonfiati al limite del reale, dischi virtuali: è questo il nodo gordiano, e come tutte le espressioni artistiche Sanremo non è altro che lo specchio della realtà.
La classifica della terza serata conferma Brunori Sas come uno dei dominatori di quest’edizione: nuovamente nella cinquina vincente decretata dal pubblico e dalle radio (quindi a metà strada tra quel minimo di qualità e tessitura musicale, e idoli delle folle dai piedi d’argilla), insieme a Coma_Cose, Holly, Irama, Francesco Gabbani.
La serata dei duetti, in ogni caso, è da anni la serata più attesa, da quando ha preso il posto -di venerdì- a quella dedicata alle “nuove proposte” oggi spalmate nelle prime tre puntate (a proposito: quest’anno i quattro finalisti evanescenti come ombre). Inevitabile, si potrebbe dire, visto che la musica protagonista non è “quella di oggi”: melodie di Califano, Simon & Garfunkel, Modugno, Vanoni, Daniele, Battiato… offerte dai cantanti in gara in accoppiate interessanti.
Ma non è tutto oro quello che luccica… Vediamo nello specifico: e stavolta andiamo in ordine di voto, dal più alto al più basso.
Una poltrona per due
Fare musica non è facile: nel senso di intuirla, crearla, suonarla, eseguirla. Non si pensi che sia come vogliono far apparire tanti cantanti oggi sparsi nelle diverse classifiche, fare musica è un atto creativo impegnativo e difficilissimo. Ancora più difficile, forse, prendere una canzone non propria e risuonarla, ricantarla, lasciando intatto il nucleo di senso vestendolo con qualcosa di diverso eppure uguale: per questo, fare una bella cover non è da tutti. Alcuni lo capiscono, altri no.
Bresh con Cristiano De André – Crêuza de mä (Fabrizio De André): ecco di cosa si parlava, poco sopra. Una cover di una canzone che è un capolavoro assoluto, che diventa altro pur restando fedele a sé stessa, trasformandosi in un altro capolavoro. Certo, con Cristiano De Andrè si vince facile: ma Bresh mette la giusta grinta, la giusta sincerità, la giusta profondità. Voto: 9
Coma_cose con Johnson Righeira – L’estate sta finendo (Righeira) se per un attimo evitiamo di pensare che Johnson Righeira sembra più un x-man, è tutto davvero bellissimo. Non vinceranno né questa serata cover né la gara ufficiale, ma i Coma_cose sono i vincitori morali di Sanremo 2025, sdoganati come tra i pochissimi artisti capaci di unire mainstream con melodie stranianti e originali ma sempre accattivanti: la loro Estate (Sanremo) sta finendo è già cult, che parte dolce e ironica per esplodere come si deve. Voto: 9
Rocco Hunt con Clementino – Yes, I Know My Way (Pino Daniele) nella musica contano le affinità emotive, le sonorità geografiche, le aderenze melodiche: e il binomio tra Rocco e Clementino hanno rievocato con sincera partecipazione benissimo il rock blues di un gigante come Pino Daniele. Voto: 8
Achille Lauro con Elodie – Tributo a Roma (Rino Gaetano): il meglio di entrambi, va detto. Il materiale era già incandescente, ma le voci di questi due interpreti sanno fondersi e dividersi quando è necessario. Peccato solo che Lauro non abbia avuto il tempo di levarsi la vestaglia (un consiglio, allora: smetti di inseguire la figura di dandy, fermati a quello che ti viene bene). Voto: 8
Olly con Goran Bregovic – Il pescatore (Fabrizio De André): è bello farsi sorprendere. Olly lo fa con un brano difficile, che incarna perfettamente l’anarchia deandreana. E che però è resa perfettamente da Bregovic, che è un fuoriclasse (ma di che parliamo), tanto che viene il dubbio su quanto ci sia dell’uno e dell’altro. Ma questo Pescatore è top. Voto: 8
Brunori Sas con Dimartino e Riccardo Sinigallia – L’anno che verrà (Lucio Dalla) Dario Brunori, tra i tanti pregi, ha quello dell’eleganza, della misura, dell’equilibrio, nonostante sappi riempire le sue canzoni di emozioni. Forse questa non era la canzone più affine al suo spirito, ma si sa che lui con Dalla ha un feeling più che importante. Voto: 7
Francesco Gabbani con Tricarico – Io sono Francesco (Tricarico): capiamoci, su Gabbani. Ha talento, perché è vocalmente dotato, ed ha uno humor innato che lo facilita ad affrontare temi importanti in maniera leggera. Lo ha dimostrato interpretando lo straziante pezzo di Tricarico caricandolo con una melodia che prima non aveva. Peccato faccia canzoni di merda. Voto: 7
Joan Thiele con Frah Quintale – Che cosa c’è (Gino Paoli): arrivata in sordina, Joan ha un brano in gara che cresce sempre di più e una cover strepitosa di un capolavoro. Personale eppure rispettosa. Voto: 7
Willie Peyote con Federico Zampaglione e Ditonellapiaga – Un tempo piccolo (Franco Califano): con tre artisti con tre anime profondamente differenti, e un brano ancora più diverso da ciascuno, era davvero difficile. A Peyote va riconosciuto il merito di aver saputo orchestrare tutto così armonicamente; l’unico dubbio è che alla fine il brano sembra suonare fin troppo Tiromancino. Voto: 6
The Kolors con Sal Da Vinci – Rossetto e caffè (Sal Da Vinci): se si dovesse giudicare e votare l’equilibrio delle accoppiate, ai The Kolors spetterebbe almeno il podio. L’insopportabile tormentone di Da Vinci è un’Italodisco dei poveri. Voto: 6
Gaia con Toquinho – La voglia, la pazzia (Ornella Vanoni): niente paragoni, per favore. Toquinho riecheggia le note magiche e sottili di un brano leggendario: Gaia fa fatica a stargli dietro, stentando a cogliere le sfumature melodiche di una canzone difficilissima. Voto: 6
Lucio Corsi con Topo Gigio – Nel blu dipinto di blu (Domenico Modugno): penso che un duetto così non tornerà mai più: Lucio Corsi all’altezza di Lucio Corsi. Sognante e trasognato, di una bellezza soffusa. Voto: 6
Clara con Il Volo – The sound of silence (Simon and Garfunkel): a dispetto delle aspettative (Clara è un ripetitore atono, il Volo una Clara per 3) l’arrangiamento è spettacolare, ma troppo dimostrativo. Voto: 6
Shablo con Neffa – Aspettando il sole (Neffa) tutto bello, ma tutto si assorbe completamente nel brano, eclissando il fattore “cover”. Voto: 6
Giorgia con Annalisa – Skyfall (Adele) avrebbero potuto sbancare, e invece si abbandonano all’accademia. Voci straordinarie, tecnica sopraffina (specialmente nel dribblare il rischio di sovrastarsi l’un l’altra), ma totale assenza di emozione. Voto: 6
Irama con Arisa – Say something (Christina Aguilera): e vabbè, Irama, “e tu canterai con dolore”, è scritto nella Bibbia. Ma Arisa qua dà una mano: la voce al servizio della canzone. Voto: 5
Simone Cristicchi con Amara – La cura (Franco Battiato): Cristicchi è il “bravo cugino studiato”, quello che a mare si porta sempre un libro, che ha un’età indefinita oscillante tra i 35 e i 57 anni. Questa sua prevedibile imprevedibilità lo porta ad altezze interessanti e vuoti noiosissimi. E Battiato è troppo in là per lui. Voto: 5
Marcella Bella con i Twins Violins – L’emozione non ha voce (Adriano Celentano) dal punto di vista della tenuta melodica, Marcella Bella sembra restituire la natura molto classica del -bel- pezzo del fratello: ma Celentano riusciva paradossalmente a renderla più moderna. Voto: 5
Massimo Ranieri con i Neri per caso – Quando (Pino Daniele): lenta -come solo i Neri Per Caso sanno essere a volte-, didascalica -come a volte solo Ranieri sa essere-. Voto: 4
Serena Brancale con Alessandra Amoroso – If I Ain’t Got You (Alicia Keys): Alessandra Amoroso cita Anna Oxa nella storica mise del Sanremo di È Tutto un attimo; ma le stelle sono lontane. Le voci ci sono, come ci sono i muscoli guizzanti sotto le canotte di una taglia più piccola: esibizione inutilmente virtuosa. Voto: 4
Modà con Francesco Renga – Angelo (Francesco Renga): una canzone che appiattiva la grinta rock di chi grinta non ne ha più, appiattita una seconda volta con arrangiamento a là Moda. Voto: 4
Fedez con Marco Masini – Bella stronza (Marco Masini): inutile negarlo, trent’anni fa tutti la cantavano senza problemi, e fa anche parte di un bagaglio musicale sia nostalgico che esistenziale. Oggi però tante di quelle parole suonano parossistiche e fuori luogo: e Fedez accompagna questo straniamento, esibendosi male come solo lui sa fare. Un Re Mida al contrario che non sa fare altro che portare il gossip all’Ariston, ma si sa: lui è il cantante falena. Voto: 4
Tony Effe con Noemi – Tutto il resto è noia (Franco Califano): sai di non saper cantare e porti Califano. Ci potrebbe stare un voto per il coraggio, ma in fondo è una gara: e la splendida voce graffiata di Veronica non basta. Precisione vocale meno di zero. Voto: 3
Francesca Michielin con Rkomi – La nuova stella di Broadway (Cesare Cremonini): dizione, questa sconosciuta. Cremonini è uno dei pochissimi cantautori di (pen)ultima generazione a poter entrare di diritto nel novero dei classici moderni, e va trattato con cura: la Michielin dimostra chiaramente il suo vuoto, con Rkomi è sparare sulla Croce Rossa. Voto: 3
Rose Villain con Chiello – Fiori rosa, fiori di pesco (Lucio Battisti): una delle più belle canzoni di Lucio Battisti, una delle più brutte esibizioni musicali degli ultimi trent’anni. Stupro in diretta di un brano. Dozzinale. Voto: n.p.
Sarah Toscano con Ofenbach – Be mine: hi è Sarah Toscano? Chi sono gli Ofenbach? Che cos’è Be Mine? (n.b.: quel chitarrista sta facendo finta, sul serio) Voto: n.p.