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5 maggio 2025

Prima pagina

«LORENZO E SYLVIA, 1963» di Salvatore Giuseppe Di Spena – Racconto Finalista Premio Nautilus 2025


Cap. 1, Lorenzo.

Camminai per infiniti campi all’altezza del sole; tanti quasi da dimenticare il motivo che mi spinse ad abbandonare l’altro luogo. Io che volevo soltanto mettere un punto, qualcosa o qualcuno decise invece di mandarmi daccapo. Nel vagare solitario ebbi a lungo l’impressione di girare in tondo: i campi incolti, gli edifici derelitti, i paesaggi bianchi aspromontani e la fitta sabbia del reggino si alternavano in un tango di stagioni, nell’indefinito scorrere del tempo. Mai comparve anima viva a cui raccontare dell’odore del rosmarino, del rosso dei papaveri e degli sterminati spazi stellari che si stagliavano davanti ai miei occhi.
Quando tutto sembrava volgere verso la stessa inappuntabile solitudine già consumata nell’altro luogo, ecco che arrivò in me una forza dirompente e propulsiva che mi spinse verso Ovest; uno slancio vitale assegnatomi da un deus ex machina al quale non potei sottrarmi. Come una zattera malconcia in balia di una tempesta continuai ad avanzare per inerzia, finché non incontrai un cielo rosaceo costellato da fiori di camelie. D’un tratto il terreno arido e sassoso che calpestavo prese i colori della primavera e le scarpe consumate dal lungo peregrinare scomparvero, lasciando il posto a ciabatte morbide che poggiavano su erbetta vaporosa. Sorrisi, in maniera del tutto spontanea, come quando da piccolo mi portavano tra le bancarelle della fiera. Che, infine, lo scopo di questo lungo viaggio fosse proprio quello di arrivare fin qui? Nel prato sul quale mi trovai si materializzarono due sedie di frassino ai poli di un tavolino che reggeva pane, burro e due tazze di latte. Accanto ad una sedia comparve una campana di vetro di proporzioni umane che custodiva una donna sdraiata di spalle, sulla trentina. Non si trattava di una sagoma familiare ma mi resi conto che l’origine di quella forza propulsiva risiedeva proprio in quella campana: il mio viaggio si sarebbe compiuto grazie a quella donna. Mi avvicinai per indagare meglio la fonte di quell’energia sottile e poggiai la mano per bussare con delicatezza. Il vetro scomparve appena lo sfiorai. La donna si alzò voltandosi e i suoi occhi pieni di vita si incontrarono coi miei. Ci attraversammo.

Cap. 2, Sylvia.

Arrivai a dimenticare come le acque salate dell’Atlantico pizzicassero la lingua e come scrivere sui prati smeraldini del collage riuscisse ad alleggerirmi fino a rendermi piuma. Direzionata dalle folate di vento, ma libera; proprio così fui a lungo. Scendevo giù ad accarezzare le pozzanghere, prendevo slancio per risalire fino a baciare le nuvole e poi sprofondavo nuovamente con le prime piogge. In una delle varie tempeste che affrontai nel mio svolazzare, incontrai un rapace che mi diede rifugio. Diceva che fossi la piuma più bella che avesse mai incontrato e fidandomi decisi di far parte della sua livrea, ma una penna bianca non si addice al piumaggio di un avvoltoio. Mi indossò così a lungo e intensamente da stropicciarmi, accartocciarmi, disfarmi.
– Amore mio, io me ne vado perché non ti appartengo –
Passai oltre.
Mi ritrovai sdraiata su un prato all’interno di una campana di vetro. Non riuscivo a muovermi, era come se fossi sottovuoto, con una pressione costante che mi schiacciava a terra. Il cielo si inscurì e mi sentii nuovamente in gabbia: che fosse questo il mio destino? Che neanche oltre fossi destinata a riavere la mia libertà? Udii poi dei passi avvicinarsi in lontananza; prima fragorosi, come il camminare dei contadini su terreni ciottolosi, poi evanescenti, simili a bambini scalzi su tappeti di velluto. Scomparve il buio da levante che lasciò spazio ad un cielo rosaceo costellato da fiori di camelie. Il vetro tra me e il mondo sparì e per la prima volta, dopo tanti anni, respirai a pieni polmoni. Una forza propulsiva e irrefrenabile mi spinse ad indagare l’origine di quei passi; decisi allora di assecondarla, voltandomi. Vidi davanti a me un uomo sui sessanta trasandato, con un camice da medico sgualcito e gli occhi esausti di chi tanto ha seminato ma poco ha raccolto. Ci attraversammo.

Cap. 3, Lorenzo e Sylvia.

Le anime di Lorenzo e Sylvia si riconobbero in memoria di chissà quale vita trascorsa insieme.
– Ho tante poesie da leggerti, vagavo da un paio d’anni –
– Anche io, ma sono appena arrivata. Prima beviamo una tazza il latte –
Il loro viaggio era finalmente terminato.

 

NOTE BIOGRAFICHE. Salvatore Giuseppe Di Spena, nato a Lamezia Terme il 5 maggio 1997, è un poeta, medico, scrittore, saggista e autore di brani musicali. Attivo artisticamente dal 2012, si diploma nel 2016 al Liceo Classico F. Fiorentino, ricoprendo dal 2014 la carica di Rappresentante della Consulta Provinciale degli Studenti. Pubblica nel 2016 e nel 2017 rispettivamente lo street album Contenuti Impliciti e l’Ep Goodbye Halcyon Days, entrambi recensiti da diverse riviste online del settore. Nel 2018 è finalista del concorso letterario “Tra un fiore colto e l’altro donato” con la poesia XXI secolo, 8:30 P.M.

Viene inserito nel 2019 all’interno dell’Enciclopedia dei Poeti Italiani Contemporanei con nove componimenti. Collabora dal 2020 col blog letterario “Manifest” in veste di autore, pubblicando diversi saggi dedicati al territorio, alla letteratura, all’arte e allo sport. Dal 2022 è impegnato nel progetto musicale faccinatriste, i cui brani sono distribuiti sul territorio nazionale da major ed etichette indipendenti ed apparsi sulle principali pagine musicali. Nel 2023 fonda con un gruppo di artisti La Pantegana Edizioni, progetto che racchiude all’interno dello stesso involucro letteratura, arte e fotografia. Nel 2024 riceve il Premio Letterario Kerasion con Tate e Violet e il Premio Tutto Calabria con Alicanto. Nello stesso anno pubblica all’interno dell’antologia Scrivi un racconto di dieci parole di Ivvi Editore con prefazione di Nicola Pesce e si laurea in Medicina e Chirurgia all’Università Magna Graecia di Catanzaro.


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