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7 novembre 2016

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«Vinu cuattu» (mosto cotto): la ricetta dell’antico rimedio calabrese contro tutti i mali


E’ tempo di vendemmia, proprio il momento giusto per preparare il mosto cotto, ‘u vinu cuattu in dialetto calabrese.

Una bevanda ormai rara e preziosa, non riconosciuta come vino perché non viene prodotta nei canoni tipici della vinificazione ma benefica e terapeutica e che porta con sé una tradizione altrettanto millenaria.

‘U vinu cuattu era conosciuto sin dai tempi degli antichi Romani, citato in diversi testi e anche nelle ricette di Apicio e di Columella, i primi scrittori di arte culinaria. Il mosto d’uva ridotto di un terzo prendeva il nome di defrutum, se ridotto della metà veniva invece chiamato sapa.

Era usato per insaporire i piatti a base di carne e pesce, mischiato al miele era utilizzato, in un’epoca in cui lo zucchero era sconosciuto, per dolcificare bevande e per la preparazione dei dolci. Costituiva inoltre, allungato con acqua e con l’aggiunta di sciroppo di fichi, mela cotogna o carrube, un’ottima bevanda energetica e ricostituente.

‘U vinu cuattu un tempo era molto usato in Calabria. Quasi come un farmaco, si dava agli ammalati e si massaggiava sulle gambe dei bambini, per rinforzarle. Si usava per preparare ottimi decotti contro i malanni di stagione, assumendolo a piccole dosi, oppure allungato con acqua e miele per preparare decotti, esattamente come gli antichi romani.

Ma, la cosa più importante, era ingrediente indispensabile nelle ricette dei dolci della tradizione, come i turdilli, la pitta ‘nchiusa e la nutella di un tempo, il sanguinazzu. D’inverno poi, all’arrivo della prima neve, u vinu cuattu era il protagonista assoluto nella preparazione della deliziosa scirubbetta, il primo gelato della storia, il quale non è altro che neve e vinu cuattu. Nelle ricette citate il mosto cotto alla calabrese può essere sostituito con discreti risultati da un buon vino passito.

‘U vinu cuattu, si ottiene dalla cottura del mosto d’uva non fermentato, con un lungo procedimento che si effettuava in tutte le case al tempo della vendemmia, ora è prodotto anche da alcune aziende agricole. Il mosto appena spremuto (non quello che esce dal torchio) si versa in una pentola capace, in alluminio o ancora meglio in rame, si porta ad ebollizione e si fa cuocere lentamente finché non si riduce ad un terzo del prodotto iniziale. Ad esempio se si mettono a bollire 15 litri di mosto, u vinu cuattu si deve ridurre a 5 litri. Una vera chicca della tradizione della piana lametina è l’uso di mescolare la preparazione con uno stelo di finocchietto selvatico, modalità che lo rende ancor più profumato. U vinu cuattu così preparato si fa raffreddare e si conserva a lungo in bottiglie sterilizzate e ben tappate.

Studi recenti hanno dimostrato che è ricchissimo di polifenoli, che come si sa combattono l’effetto dannoso dei radicali liberi. Inoltre l’elevato potere antiossidante del mosto cotto è risultato correlato, oltre che alla presenza dei fenoli, anche agli zuccheri che si formano in seguito al processo di caramellizzazione.

‘U vinu cuattu, a conferma delle antiche tradizioni popolari calabresi, è un alimento prezioso, ricco di quei composti antiossidanti che combattono l’invecchiamento cellulare e prevengono le patologie cardiovascolari e tumorali.
Annamaria Persico


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