crispelle
28 novembre 2017

Ricette calabresi-cucina leggendaria

Grispelle, zeppole e cuddrurieddri: storia e ricetta delle ciambelle simbolo del Natale in Calabria


Grispelle o crispelli, cuddrurieddri, zeppole, zippuli… chiamatele come volete ma le deliziose ciambelle fritte sono il vero simbolo del Natale in Calabria.

E’ antichissima tradizione prepararle con gran solennità per tutto il periodo festivo, si inizia dalla Vigilia dell’Immacolata e si continua fino all’Epifania. Le donne preparano l’impasto con mille attenzioni, lo lasciano lievitare al calduccio sotto una coperta di lana e, una volta pronto, si procede a farne delle ciambelle e a friggerle in abbondante olio bollente.

Una volta si usava anche che il capofamiglia, o chi ne faceva le veci, gettasse nella padella la prima striscia di pasta a forma di croce.

I fritti natalizi in Calabria sono il vero segno della festa, per celebrare e augurare la fortuna e l’abbondanza. Perciò se ne preparano in quantità per farne dono a parenti e vicini di casa e, come recita il proverbio Amara chira casa ch’un si fria, da tradizione non si frigge nella casa colpita da lutti recenti.

L’usanza di consumare a Natale dolci preparati con la farina di frumento potrebbe risalire agli antichi Romani. Già Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia parlava di focacce in uso il giorno del Natalis Solis Invicti: «… e si confezionavano le sacre e antiche frittelle natalizie di farinata…».

La festa del Natalis Solis Invicti, la divinità solare dell’Impero Romano, fu fu stabilita dall’imperatore Aureliano nel 274 d.C. e si celebrava il 25 dicembre, qualche giorno dopo il solstizio invernale, quando il sole nuovo saliva all’orizzonte.

Era la conclusione anche dei Saturnali, la festa dedicata a Saturno, che iniziavano il 17 dicembre, durante i quali i romani gozzovigliavano un po’ e organizzavano banchetti, accendevano candele, si rappacificano, si scambiavano piccoli doni e giocavano perfino a tombola.

A queste feste importanti partecipavano attivamente anche molti cristiani e, nel IV secolo, la Chiesa romana decise di celebrare il 25 dicembre anche il Dies Natalis Domini, il Natale di Gesù, il Sole che illumina con la sua Luce tutto l’Universo.

Un ricordo dell’antica concezione solare delle feste natalizie potrebbe essere anche la forma dei dolci di Natale calabresi: quella sferica, che ricorda il Sole, o ad anello, con i lembi finali che si sovrappongono, esattamente come l’Uruboros, il serpente che si morde la coda, simbolo in tutta l’area mediterranea del principio cosmico della vita.

Tutto questo spiega la tradizione delle grispelle, o cuddrurieddri o zeppole che dir si voglia, che si perpetua in Calabria a distanza di secoli e a cui i calabresi non rinuncerebbero per niente al mondo.

RICETTA
L’impasto di base è fatto con acqua, 1 Kg di farina, lievito madre 250 grammi oppure 1 cubetto di lievito di birra, sale. Impastate il tutto e lasciate lievitare almeno tre ore al caldo. Se volete fare le grispelle con le patate le dosi sono un chilo di farina, quattro patate lessate e schiacciate, 250 di lievito madre oppure un cubetto di lievito di birra, sale.

Quando l’impasto è raddoppiato di volume, mettete sul fornello una padella dai bordi alti con olio per friggere e, quando è a temperatura, lasciatevi cadere le grispelle a cui intanto avrete dato con le mani bagnate la forma di ciambella, del diametro minimo di una decina di centimetri. Toglietele appena sono dorate, fatele sgocciolare su carta assorbente e mangiatele subito, così come sono o intinte nel miele.

L’impasto con le patate deve lievitare almeno tre ore, poi potete procedere alla frittura come sopra, oppure lasciare fare una prima lievitazione di un paio d’ore, comporre le ciambelle e lasciarle lievitare ancora altre due ore prima della frittura. Le grispelle così preparate rimangono morbide per qualche giorno e si possono mangiare così come sono o passate nello zucchero.

Le grispelle sono molto usate anche come cibo di strada in diversi territori, in particolare presso alcuni Santuari come quello di Conflenti, dove venivano preparati per sfamare le folle dei pellegrini che arrivavano durante i tre giorni di festa dedicati alla Madonna di Visora.

In alcune zone, come nel Lametino e nel Catanzarese, si usa dare a questo impasto la forma sferica e mettere all’interno pezzetti di acciuga. In questo caso le deliziose fritture sono chiamate mpastatieddi o anche monacielli, forse perché essendo piccole e di colore marrone, ricordano le figure scure e incappucciate dei frati che numerosi abitavano i conventi nei vari territori.
Annamaria Persico


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